Farro della Garfagnana, forza e difficoltà di una Igp quasi a Km 0

Intervista con Lorenzo Satti, presidente della cooperativa che riunisce la maggior parte dei produttori di questo cereale simbolo di un territorio, dove trova sia il maggior sbocco commerciale che le principali problematiche legate soprattutto ai selvatici

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Un campo di farro sullo sfondo dei monti della Garfagnana

Fonte immagine: Coop Garfagnana

Considerato uno degli alimenti tradizionali della cucina lucchese e in particolare di quella delle sue montagne, il farro è da sempre una coltura tipica della Garfagnana, lo splendido territorio montano a Nord di Lucca incastonato tra le Alpi Apuane e l'Appennino Tosco Emiliano.

Una coltura che ha avuto alterne vicende negli ultimi decenni, ma che dal 1996 è stata riconosciuta come Igp. Un riconoscimento che ha consacrato il farro a uno dei prodotti simbolo della Garfagnana e che ne ha rilanciato la coltivazione e la domanda di mercato.

Ma oggi come va questa coltivazione di nicchia? Lo abbiamo chiesto al presidente di Coop Garfagnana, Lorenzo Satti, che raccoglie gran parte dei produttori e che ha realizzato nel 2000 un centro unico per la lavorazione, il confezionamento e lo stoccaggio del prodotto.

Intanto, come è andata la raccolta di quest'anno, segnato da gelate e siccità?
"Nonostante le condizioni climatiche che si sono riscontrate quest'anno il raccolto 2017 è stato ottimo".

Oggi quanti sono i produttori di farro e quanti gli ettari coltivati?
"I produttori di farro Igp della Garfagnana sono al momento 46 per una superficie complessiva seminata che si aggira intorno ai 130 ettari".

A livello di commercializzazione, dove viene venduto il farro? Il mercato è locale o si estende anche a livello nazionale e estero?
"Il mercato di riferimento è per circa l'80% delle vendite il mercato regionale mentre il rimanente 20% si spalma sul territorio nazionale, prevalentemente nelle regioni del Centro Nord".

Riuscite bene a coprire la domanda del mercato?
"Purtroppo i raccolti degli ultimi anni non sempre ci hanno permesso di soddisfare pienamente la domanda. Il raccolto è stato spesso insufficiente".

Come sta andando questa coltura negli ultimi anni?
"Purtroppo nonostante un andamento costante di superfici seminate sono calate le rese di produzione a causa degli ingenti danni provocati alle colture dagli animali selvatici: cinghiali, cervi, caprioli ecc".

Quali sono le problematiche principali e cosa state facendo per risolverle?
"Molti produttori si sono visti costretti a recintare i loro terreni con notevoli aggravi dei costi produttivi".

State lanciando un Pif, come sta andando e quali sono gli obbiettivi di questo progetto?
"Siamo solo all'inizio poiché a causa dei ritardi burocratici che si sono riscontrati in fase istruttoria i progetti stanno partendo in questo periodo. L'obiettivo principale è quello di arrivare, da una parte, ad una maggior produttività e qualità del prodotto e, dall'altra, a far conoscere sempre di più il nostro farro attraverso la realizzazione di eventi che ci possano portare a diretto contatto con il consumatore finale".

Autore: Matteo Giusti

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