Mandorlo Prunus dulcis - Prunus amygdalus

Mandorlo - Plantgest.com
Descrizione della pianta
Il frutto è formato da un involucro di colore verde-grigiastro e d’aspetto tomentoso che contiene il nocciolo, all’interno del quale sono presenti uno o due semi di forma appiattita(cioè la mandorla) che si rivela un prezioso concentrato di principi nutritivi. Tradizionalmente la mandorla dolce è la più usata in cucina e trionfa anche in pasticceria, per la produzione di confetti, torroni, dolci di pasta di mandorla, gli amaretti e anche bibite come l’orzata. Le vengono attribuite proprietà energetiche, lassative e purgative ed a questo proposito uno dei rimedi più antichi è il latte di mandorle che risulta rinfrescante dell’intestino e della vescica e calmante per la tosse. In alcuni testi di medicina naturale la mandorla è indicata come antidepressivo naturale per l'effetto che avrebbe sul sistema nervoso.

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Appartiene alla famiglia delle Rosacee e sottofamiglia delle Prunoideae. Alla specie Amigdalus communis appartengono tre sottospecie d’interesse futticolo come il sativa (con seme dolce ed endocarpo duro ed a cui appartengono la maggior parte delle specie coltivate), amara (con seme amaro per la presenza di amigdalina) e fragilis (con seme dolce ed endocarpo fragile). E’ originaria dell’Asia centro occidentale (marginalmente della Cina) e venne poi successivamente trasportata in Grecia all’epoca della Grecia antica prima e di  Alessandro Magno poi. Successivamente i Fenici e gli stessi Greci attraverso i lori viaggi nel mediterraneo l’introdussero in Sicilia tanto che i romani la chiamarono “noce greca”. In seguito si diffuse anche in Spagna ed in Francia e in tutti i paesi del mediterraneo. In America giunse nel XVI secolo.  Le foglie sono lanceolate, seghettate, più strette e più chiare di quelle del pesco, portanti delle ghiandole alla base del lembo e lungamente peduncolate. I fiori sono ermafroditi, di colore bianco o leggermente rosati (nell’Amigdalus communis L. spp. Amara), costituiti da 5 petali, 5 sepali e da 20-40 stami. L’ovario presenta 2 sacchi embrionali contenenti ognuno 1-2 ovuli. Il frutto è una drupa che presenta esocarpo carnoso di colore verde (a volte con sfumature rosse), ricoperto di leggera peluria (in alcuni casi può essere glabro) e con endocarpo legnoso contenete il seme o mandorla. Quest’ultimo e' ricoperto da un tegumento (episperma) liscio o rugoso, di colore variabile dal marrone all'ocra. In alcune cultivar e' possibile riscontrare con una discreta frequenza la presenza, all'interno dell'endocarpo, di due semi (fenomeno dannoso ai fini commerciali). Il mandorlo e' caratterizzato da una fecondazione entomofila, per cui si rende necessaria la presenza di un certo numero di arnie durante la fioritura. La maggior parte delle cultivar e' autosterile, ed inoltre esistono casi di eteroincompatibilita'. Questo risulta estremamente importante ai fini della scelta delle cultivar. L'epoca di fioritura, pur variando fra i diversi ambienti (da gennaio a marzo) e' alquanto precoce.
Le migliori condizioni pedoclimatiche per la coltivazione del mandorlo sono le aree temperate dove meno frequenti sono le brinate tardive.

Le mandorle sono drupe costituite da epicarpo tormentoso e di colore verde, un mesocarpo fibroso-asciutto ed un endocarpo o guscio aventi caratteri che assumono notevole importanz per le opere di classificazione e d’identificazione.  All’interno del guscio sono contenuti uno o due semi di colore marrone chiaro o marrone scuro di spessore e tomentosità variabile. Il mallo è invece costituito dal mesocarpo e dal pericarpo che raggiunta la maturità si rompe mettendo a nudo i gusci. La parte edule è invece costituita dal seme che viene detto mandorla. La mandorla stessa può rappresentare un prezioso concentrato di principi nutritivi. Essa infatti è ricca in grassi insaturi, vitamina A, B ed E, protidi, emulsina, sali minerali, amidi, potassio, ferro, fosforo e calcio.
Come detto in precedenza il seme  può presentare un sapore amaro o dolce. La mandorla dolce è quella più tradizionale ed importante ed è' usata sia in cucina che in pasticceria. Ad essa le vengono attribuite proprieta' energetiche, lassative e purgative (a questo proposito uno dei rimedi piu' antichi e' il latte di mandorle, rinfrescante dell’intestino e della vescica, e calmante per la tosse). La mandorla è inoltre indicata come antidepressivo naturale e come migliorativo del sistema immunitario. Nelle mandorle amare l’uso alimentare e' invece da ritenersi ridotto per la presenza dell’amigdalina, un glucoside che si trasforma facilmente nel tossico acido cianidrico. Quest’ultimo rappresenta il motivo principale dell’utilizzo del seme amaro (assieme al costo di utilizzo minore) nei settori della medicina, della profumeria ed in cosmetica. Inoltre l’olio di mandorle, estratto a freddo da entrambe le varieta', e' costituito soprattutto da gliceridi dell’acido oleico e linoleico e non contiene acido cianidrico dando così al liquido la caratteristica di non irritare la pelle che gli permette l’utilizzo per la pulizia della cute sensibile e per il trattamento delle pelli secche ed arrossate. Proprio per queste motivazione viene spesso incluso in creme, emulsioni ed oli cutanei con funzione ammorbidente e rassodante. L’olio si ritrova in diversa misura anche in prodotti per la prevenzione delle smagliature, per le ragadi al seno ed in latti detergenti e rinfrescanti. Altro efficace utilizzo è rappresentato dalla maschera per il viso, schiarente e idratante, realizzata con il residuo delle mandorle dolci (farina amygdalarum), miscelata ad acqua o latte.

Composizione e valore energetico della Mandorla(100 g. di prodotto)
Acqua 20 g
Proteine
16 g
Lipidi 52 g
Carboidrati 4 g
Fibra 14 g
Calorie 542 Kcal
Gli antichi Greci narravano che Fillide, una principessa Tracia, incontro' Acamante figlio di Teseo sbarcato nel suo regno per una sosta durante la navigazione verso Troia. I ue giovani s’innamorarono perdutamente ma Acamante fu costretto a proseguire il viaggio a seguito degli Achei per combattere nella guerra di Troia. La giovane principessa, dopo dieci anni di guerra ed attesa, non vedendolo tornare con le navi vittoriose si lasciò morire per la disperazione. La dea Atena però commossa da questa struggente storia d’amore decise di trasformare Fillide in uno splendido albero di mandorlo. Acamante in realtà non era morto e quando seppe che Fillide era stata trasformata in albero raggiunse ed abbracciò la pianta, la quale per ricambiare le carezze ricevute fece uscire dai suoi rami nudi, fiori al posto di foglie. Questo abbraccio continua ogni anno, quando i fiori del mandorlo annunciano la primavera. Uno spettacolo che può essere visto all’interno di una splendida cornice come la Valle dei Tempi di Agrigento, dove gli alberi germogliano a febbraio coprendo la valle di un suggestivo manto di petali bianchi. Nel Medioevo l’olio di mandorla sostituiva spesso il più costoso olio d’oliva ed i ricchi banchetti rinascimentali si concludevano immancabilmente con dolci alle mandorle. Anche Boccaccio si lasciò sedurre dalla mandorla e nel Decamerone racconta di una casa di marzapane, zucchero e mandorle.  Dal mediterraneo le mandorle si sono diffuse ovunque diventando di uso comune anche nella cucina dei paesi nordici. In Svezia esiste infatti una tradizione di Natale che ha per protagonista la mandorla. Il giorno della vigilia si prepara un dolce di riso nel quale viene nascosta una mandorla e la persona che la trova per prima sarà la prima del gruppo a sposarsi.
Nel complesso la mandorlicoltura del nostro paese risulta caratterizzata dalla presenza di un gran numero di cultivar con spiccata vocazionalità locale dotate, in non pochi csi, di caratteri di pregio sfortunatamente non concentrati su una o su poche entità sistematiche. Le migliori condizioni pedoclimatiche per la coltivazione del mandorlo sono le aree temperate dove sono meno frequenti le brinate tardive e, volendo considerare solo piantagioni di ampie superfici, è indispensabile disporre di impianto irriguo e di terreni non troppo argillosi.
Diversi sono i metodi con cui si può propagare questa specie frutticola.
  • Propagazione per seme: Nei paesi mediterranei e quindi nche in Italia viene spesso propagato per seme. In modo particolare è utilizzata in quelle zone dove si avverte minore l’esigenza di avere portinnesti e cultivar selezionate. L’utilizzo di questa tecnica ha permesso la creazione di una vasta gamma di popolazioni varietali con differenze fenotipiche molto ampie ed interessanti. Questo metodo non risulta però adatto alla creazione di impianti di tipo industriale per i quali bisogna avere un prodotto omogeneo e di alta qualità. Infatti attraverso la propagazione per seme si ottengono piante di elevato grado di eterozigosi e diverse fra loro e dalla pianta madre. Inoltre le piante tendono a presentare una messa a frutto tardiva rispetto alle stesse prodotte per via vegetativa. Ad ogni modo prima di utilizzare i semi è necessario eseguire la stratificazione in modo da poter aumentare il loro potere germinativo. Una volta terminata questa pratica le piantine ottenute vengono prelevate dal semenzaio e vengono trapiantate nel cestaio in modo tale da poter raggiungere lo sviluppo per essere innestate a gemma od a marza nell’anno successivo.
  • Propagazione per radicazione diretta: Le cultivar di mandorlo non possono essere propagate per autoradicazione perché questa specie fruttifera emette molto difficilmente radici avventizie. Se fosse possibile costituire nuove cultivar attraverso la propagazione per talea legnosa o margotta si potrebbe arrivare ad una drastica riduzione dei costi di produzione delle piante. Le tecniche di autoradicazione sono quindi utilizzate per la sola propagazione di alcuni portinnesti clonali che riescono ad adattarsi a questa tecnica essendo invece l’innesto l’unico metodo per poter propagare  o moltiplicare le varietà di questa specie. Tra le tecniche  che potrebbero avere un maggior utilizzo o che sono utilizzate per i portinnesti ricordiamo la talea. Essa può essere eseguita attraverso le talee erbacee per l’ibrido pesco x mandorlo “GF 677” e talee legnose per i susini “Mariana GF 8/1” e “Marianna 2624”.
  • Innesti a gemma ad occhio dormiente: Può essere eseguito dal mese di Luglio inoltrato fino alla fine di Settembre e cioè fino a quando la corteccia si stacca facilmente dal legno. Nel caso in cui, a seguito di periodo di carenza idrica, la corteccia non si stacchi adeguatamente bisognerà irrigare la pianta un paio di giorni prima di eseguire il taglio. L'innesto si esegue incidendo a T la corteccia della pianta da innestare (soggetto) e dopo aver sollevato i lembi si inserisce tra la corteccia e il legno uno scudo (oggetto) formato da una gemma e da una piccola porzione di corteccia con una parte di legno. L’innesto è poi legato con rafia o con fascette di gomma. Al sopraggiungere della primavera successiva prima del rigonfiamento delle gemme viene tagliata la rafia per non strozzare il punto d’innesto (se si sono utilizzate le fascette si allentano da sole). La gemma innestata rimane dormiente per tutto l’inverno per poi schiudersi al sopraggiungere della primavera seguente. Per favorire l’accrescimento del germoglio è buona norma, all’emissione delle prime foglioline, eseguire la spuntatura del soggetto appena al di sopra del punto d’innesto.
  • Innesti a gemma ad occhio vegetante: Le modalità di esecuzione sono le stesse dell’innesto ad occhio dormiente. L’operazione viene però eseguita in primavera e quindi dopo poco comincia a germogliare. E’ necessario che le gemme da innestare siano ancora in stato di riposo, per cui le marze vanno raccolte in inverno e conservato in luogo fresco ed umido.
  • Innesti a marza a spacco: L’oggetto è costituito da una porzione di ramo con uno o più “occhi” o gemme e vengono eseguiti verso la fine dell’inverno o appena inizia l’attività vegetativa. Dopo essere stato capitozzato sul soggetto viene eseguita una fenditura longitudinale nella quale viene inserita la base della marza. L’innesto è poi saldamente legato con rafia o con una striscia di plastica o gomma e le zone del taglio coperte con catrame o cera da innesti.
  • Innesti a marza ad intarsio o incastro: La base della marza che deve essere incastrata nel soggetto viene tagliata in modo tale da formare un triangolo. Sul soggetto viene formata una cavità che permette l’inserimento della marza preparata. Una volta fatto questo è necessario coprire la superficie con catrame, cera ed altri materiali adatti.
  • Sovrainnesto: nel caso in cui si manifesti disaffinità può essere eseguita questa tecnica che pone tra il nesto ed il portinnesto un’altra marza o nesto. Nel mandorl questa tecnica è comunque poco utilizzata grazie all’elevata affinità che le cultivar hanno con i più importanti portinnesti oggi utilizzati. Tra le tecniche maggiormente utilizzate ricordiamo l’innesto a coccarda, l’innesto a doppia marza e l’innesto a doppio scudo.
  • Reinnesto: Può essere eseguito su piante adulte che per vari tivi non danno produzioni adeguate. Nel reinnesto non esiste il problema della disaffinità in quanto si tratta di mandorlo su mandorlo. Essa è eseguito generalmente a marza sul tronco preventivamente capitozzato nelle piante giovani e sulle branche primarie o secondarie nel caso di piante adulte.
  • Micropropagazione: Essa consiste nel coltivare piccole porzioni di piante in substrati artificiali ed in laboratorio, dalle quali in tempi molto brevi si possono ottenere un numero elevato di piante. Bisogna però ricordare come ad oggi questa tecnica permetta di ottenere il solo portinnesto GF 677.
Una delle scelte più importanti per creare un impianto è quella del portinnesto. Quelli disponibili sono pochi e no sempre razionali per adattabilità, affinità e resistenza alle aversità.
  • Franco: E’ il più diffuso nelle regioni mandorlicole italiane ed in diversi paesi mediterranei. E’ consigliabile in terreni sciolti, privi di ristagno o dove l’apporto d’acqua al terreno possa risultare deficitario o anche nei casi in cui il terreno presenta alte percentuali di calcare attivo. E’ ottenuto da seme di mandorle amare e dolci. Sensibile a tutte le principali fitopatie radicali, presenta ottima affinità ed induce vigore medio, buona produttività frutti di qualità elevata.
  • Pesco: Questa specie può essere utilizzata nei terreni sciolti, privi di ristagni e con un contenuto di calcare attivo inferiore al 5% In generale esso consente un maggiore sviluppo delle piante e una più precoce messa a frutto rispetto al mandorlo. Sensibile ai nematodi galligeni ed all’Agrobacterium tumefaciens. Inoltre influenza il nesto a produrre semi di migliore qualità, con gusci più sottili e quindi con un più alto rapporto seme/guscio.
  • Ibridi pesco x mandorlo (GF 677): Propagato in vitro è al momento il solo portinnesto utilizzabile per impianti industriali stante l’adattabilità ai vari tipi di suolo, tranne quelli molto argillosi, sia in coltura irrigua che asciutta. Presenta ottima affinità, buon ancoraggio, resistenza al calcare attivo fino al 12%, all’asfissia radicale ed alla siccità. Induce forte vigore, rapida messa a frutto ed elevata produttività.
  • Susino (Marianna GF 8/1 e Marianna 2624): Il primo va utilizzato in terreni argillosi nei quali esista il pericolo di un non perfetto drenaggio, vista la sua maggiore resistenza all’asfissia radicale, rispetto a tutti gli altri portinnesti. Esso da piante di sviluppo alquanto ridotto rispetto al pesco ed al GF 677, ma induce alle piante una buona efficienza produttiva. I limiti sono nella scarsa affinità con molte cultivar. Il secondo ha caratteristiche simili a quello precedentemente descritto con la presenza di elevata resistenza ai nematodi galligeni e la sua elevata adattabilità ed utilizzo negli USA.
Sostanzialmente, per i nuovi impianti, si deve adottare soltanto la forma a vaso a 4-5 branche o comunque una forma in volume con l’impalcatura ad una altezza minima di 70 c da terra per permettere la raccolta meccanica. Normalmente viene costituito con astoni che vengono spuntati prima del germogliamento a 80-90 cm per la formazione dell’impalcatura. Nel caso di piante poco lignificate o deboli è preferibile ribattere l’astone poco sopra il punto d’innesto, scegliendo il miglior germoglio che di sviluppa il quale verrà spuntato al verde per ottenere le branche dell’impalcatura. Il sesto da adottare è il rettangolo che risponde ben alle esigenze delle forme di allevamento in volume con distanze fra le file di 5-6 m, a seconda delle macchine che si adottano per la raccolta e fra le piante di 4-5 m in base al portinnesto, al tipo di terreno e se con irrigazione o meno.
I terreni ideali per la buona uscita della coltura del mandorlo sono quelli di medio impasto, profondi, dotati di ottime capacità per lo smaltimento naturale delle acque in ecesso. E’ però da considerare che queste condizioni sono difficilmente reperibili negli ambienti tipici del mandorlo e quindi per poter eseguire una corretta coltivazione è necessario eseguire e scegliere adeguate tecniche colturali adatte anche al tipo di clima in cui ci troviamo. Ne deriva che si rende necessario una serie di interventi straordinari per poter predisporre il terreno ad ospitare le giovani piante in modo tale da permettere la loro vegetazione e  produzione. Le successive operazioni rientreranno nel concetto di ordinarietà, oppure ci si orienterà verso l’adozione di tecniche alternative.
Pertanto le lavorazioni sono fondamentalmente di tre tipi:
  • Lavorazioni straordinarie, da eseguire prima dell’impianto;
  • Le lavorazioni ordinarie, che rientrano nelle normali operazioni annuali;
  • Tecniche alternative, che hanno le medesime finalità delle lavorazioni ordinarie, ma con la sostituzione parziale o totale di queste ultime;
Lavorazioni straordinarie: In questa categorie rientrano gli interventi che precedono l’impianto e che sono indispensabili per assicurare una corretta impostazione del mandorleto. All’inizio è necessario far sì che il terreno sia libero da elementi che possano ostacolare le normali operazioni. In questo modo si potranno eseguire asportazioni di pietre, colmare eventuali avvallamenti, eliminare prominenze vistose ed ingombranti. Una volta eseguite  si potrà procedere allo spianamento della superficie e dare la pendenza necessaria al deflusso dell’acqua (in pianura inclinazione dall’1 al 3% ed in collina si tende a ridurla). Una volta eseguite queste operazioni si procederà allo scasso in modo tale da migliorare la porosità e la permeabilità del terreno.  Per l’esecuzione dei lavori è opportuno utilizzare macchine di adeguata potenza, preferendo quelle specifiche per movimenti di terra. Lo scasso può essere effettuato con modalità, per così dire, alternative, e la scelta dell’una o dell’altra dipende da considerazioni di opportunità legate anche alla situazione del terreno nei primi 110-130 cm di profondità. Nel caso di stratificazione omogenea si può intervenire indifferentemente o con aratri ripuntatori o con monovomeri in modo da raggiungere la profondità predetta. Nel caso di stratificazione non omogenea può essere conveniente un parziale rimescolamento degli strati. Lo scasso deve essere eseguita all’inizio dell’estate, lasciando così il terreno esposto all’azione degli elementi atmosferici sino all’autunno, epoche in cui si deve effettuare un’aratura profonda, con la quale tra l’altro devono essere interrati i fertilizzanti chimici ed, eventualmente, il letame. All’aratura seguono una o due frangizzollature, onde sminuzzare il terreno. Inoltre , nei terreni di pianura, deve essere realizzatala rete di smaltimento dell’acqua meteorica, costituita da scoline di adeguate dimensioni, che seguendo le pendenze predisposte si collegano con i canali di sgrondo che portano poi al colletto principale. Sempre nella fase preimpianto è necessario, per certi ambienti, la presenza di adeguate fasce frangivento.

Lavorazioni ordinarie: Al contrario di alcuni paesi a mandorlicoltura più evoluta, dove l’iirigazione rientra di norma nella tecnica colurale a differenza dell’Italia e di altri paesi del bacino Mediterraneo, sono prevalse le tecniche di aridocoltura. basate su lavorazioni primaverili-estive atte a togliere le infestanti e ridurre le perdite dell’acqua al minimo Ne consegue, evidentemente, che le tecniche da adottare risulteranno differenziate a seconda che il mandorleto possa usufruire o meno dell’irrigazione estiva. In coltura asciutta una prima lavorazione dev’essere effettuata in autunno, ad una profondità di 15-20 cm, allo scopo di favorire la penetrazione delle acque di pioggia negli starti profondi del sottosuolo. E’ preferibile che la lavorazione venga eseguita nel periodo autunnale piuttosto che alla fine dell’inverno, perché così facendo si riducono le lesioni al capillizio radicale, che proprio nel suddetto periodo è in fase di intensa attività e l’assorbimento è particolarmente attivo, in concomitanza della fioritura, del germogliamento e dell’allegagione.Una seconda aratura, molto superficiale dev’essere effettuata dopo la caduta dei petali, in genere in Marzo-Aprile, per eliminare le prime infestanti ed allo stesso tempo arieggiare il terreno. Le successive lavorazioni hanno come obbiettivo la conservazione dell’umidità presente nel terreno, e devono imitarsi, pertanto, alla periodica eliminazione delle infestanti ed allo sminuzzamento dei primi cm di terreno. Questo perché lo stato superficiale può dar luogo alla formazione di numerosi capillari, derivanti dall’aggregazione delle particelle argillose responsabili in larga misura delle perdite per evaporazione. Il numero degli interventi da effettuare in questa fase varia in rapporto alle caratteristiche pedo-climatiche dell’ambiente di coltura, ma, in ogni caso, una terza lavorazione deve essere eseguita in Giugno-Luglio. Infine qualche erpicatura in fase successiva dovrebbe completare la serie di lavorazioni al terreno che in tal modo possono consentire al mandorlo il raggiungimento di soddisfacenti livelli produttivi anche in coltura asciutta. In coltura irrigua è preferibile evitare lavorazioni profonde sia in autunno che in primavera Non va dimenticato che sia in coltura asciutta che irrigua le lavorazioni del terreno vengono anche utilizzare per l’interramento dei fertilizzanti.

Tecniche alternative In alcuni paesi si è avvalsa in quest’ultimo decennio di nuove tecniche colturali del terreno utilizzate in totale sostituzione con mezzi meccanici, oppure come mezzo ad esse complementare. Nel caso del mandorlo l’unica tecnica alternativa che abbia avuto una certa diffusione e che mostri in prospettiva un interesse pratico anche per i nostri ambienti di coltura è quella del diserbo chimico. 
Negli ultimi anni è stata posta poca attenzione rivolta da parte degli operatori e dai ricercatori ai problemi relativi alla nutrizione ed alla concimazione di questa specie causa della convinzione che il mandorlo sia una specie da confinare in ambienti marginali e caratterizzati da terreni poveri ed aridi. I fabbisogni della specie sono legati, nel corso del ciclo annuale, alle fasi dell’attività vegetativa e produttiva. Si è rilevato che i processi più direttamente coinvolti nei riguardi del metabolismo trofico dell’albero sono quelli relativi alle fasi del ciclo produttivo, dalla fioritura alla maturazione del seme, tenuto anche conto che a tali fasi si sovrappongono i processi legati allo sviluppo annuale dei germogli, che contribuiscono ulteriormente ad accentuare le esente nutritive della pianta.
Tali esigenze variano in funzione del ciclo poliennale della specie, a seconda che si trovi nella fase di sviluppo, di maturità o di senescenza. Nella prima e nell’ultima fase di sviluppo sono necessari maggiori apporti di azoto per un adeguato  accrescimento della chioma e del sistema radicale. Nella fase di piena fruttificazione gli elementi nutritivi devono essere opportunamente dosati in modo tale che le tecniche colturali, l’attività vegetativa e l’attività produttiva vengano il pù possibile mantenute in equilibrio.
  • Azoto: ha notevole importanza nell’attività vegetativa che produttiva in quanto favorisce lo sviluppo dei germogli e la fioritura.
  • Fosforo: Aumenta la produttività del mandorlo anche se diverse ricerche hanno posto in evidenza come la somministrazione dell’elemento non dia risultati concordanti ed omogenei. Infatti in alcune aree (es. California) l’uso di fosforo viene addirittura sconsigliato. In tutti i casi, vista la sua importanza, la somministrazione di questo elemento risulta indispensabile qualora il substrato di coltura non ne sia sufficientemente provvisto.
  • Potassio: importante a livello del metabolismo trofico della pianta. 
  • Calcio: assorbito in notevoli quantità dalla pianta (pari all’azoto) anche se non si riscontrano carenze di questo elemento.
  • Magnesio,Zinco e Boro: Importanti per i quali sono stati segnalati in alcuni ambienti casi di carenza e di eccesso.

E’ buona norma eseguire una buona concimazione prima dell’impianto soprattutto se le analisi evidenziano scarse dotazione di qualche elemento. Un terreno sufficientemente dotato presenta azoto dal 0.10% al 0.15%, anidride fosforica assimilata dal 0.004% al 0.007% e ossido di potassio scambiabile dal 0.01% al 0.02%. La sostanza organica risulta molto importante per cui una somministrazione è sicuramente utile (300-600 q/ha). Quindi bisognerà sicuramente eseguire una buone concimazione d’impianto in modo tale da correggere eventuali difetti immediati ed in modo tale da poter fare una buona base per gli anni futuri. Si ritiene che quantitativi nell’ordine di 300-400 Kg/ha di anidride fosforica e di 400-600 Kg/ha di ossido di potassio siano sufficienti. Per quello che riguarda la concimazione annuale essa dovrà essere programmata in base all’età dell’impianto ed alle fasi fenologiche del ciclo annuale. Nelle piante giovani l’elemento più richiesto è l’azoto e viene distribuito a più riprese nel corso dell’anno compatibilmente con e condizioni di umidità del terreno. In condizione di asciutta è preferibile ricorrere ad una o più somministrazioni. La prima tra Dicembre e Gennaio, la seconda dopo l’allegagione anche se attualmente grazie ai concimi a lenta cessione può essere effettuata in un’unica soluzione. I quantitativi da distribuire sono abbastanza variabili in relazione ai vari fattori ma mediamente si possono indicare valori oscillanti tra i 100 e 200 g/pianta. Nei primi anni dell’impianto sono necessari ulteriori apporti di fertilizzanti fosfatici e potassici, ma questi devono essere via via forniti quando le piante cominciano ad entrare in produzione. Nelle piante adulte c’è esigenza di mantenere un certo equilibrio tra attività vegetativa e produttiva con valori che non si dovrebbero discostarsi di molto da 1:2:1,5-2. Circa l’epoca di concimazione c’è una certa concordanza nel ritenere il periodo compreso tra l’autunno e l’inverno come il più idoneo. Per quanto riguarda i quantitativi da somministrare annualmente vengono consigliate quantità per pianta dell’ordine di 300 g di N, 600 g di P2O5, e 500 g di K2O (zone Puglia e Sardegna) e 150 g di N, 300-600 g di P2O5. Importante ricordare come le diverse situazioni ambientali  e colturali portano a determinare e orientare le scelte del mandorlicoltore.
Questa tecnica è rimasta per molto tempo in diversi paesi del bacino mediterraneo è rimasta pressoché sconosciuta a motivo che la specie è stata ovunque confinta in zone aride e talvolta in terreni marginali. Le perplessità più serie sulla possibilità di affermazione di questa tecnica sono certamente dovute ai dubbi circa la sua convenienza economica. D’altra parte, accanto all’aspetto economico, in Italia esiste tuttora qualche remora alla diffusione della tecnica irrigua nei mandorleti, in quanto si ritiene che essa favorisca in qualche modo l’insorgere di fitopatie all’apparato radicale, data la sensibilità del mandorlo agli eccessi di umidità del terreno. In realtà il marciume radicale riscontrabile su mandorleti irrigui non è tale da sconsigliare l’apporto d’acqua nel periodo estivo.. Al contrario, vista l’affermazione dell’irrigazione su vaste aree mandorlicole, c’è da ritenere che il problema di questa fitopatia sia ovviabile evitando eccessi d’acqua, per cui sembrano risentire in modo particolare gli alberi adulti inizialmente allevati in coltura asciutta e successivamente irrigati. A prescindere da quanto detto è indubbia, comunque l’utilità agronomica dell’intervento irriguo che favorisce anche nel mandorlo tutti i processi della fruttificazione e porta ad una maggiore produttività.
Da un punto di vista bio-fisiologico è opportuno soddisfare i fabbisogni idrici della pianta al fine di favorire l’evoluzione di alcuni fondamentali processi. L’acqua, infatti, rappresenta il solvente per il movimento delle sostanze nutritive, che costituisce un elemento indispensabile nella fotosintesi e nei processi idrolitici, mantiene turgidità degli organi e regola attraverso la traspirazione, la temperatura interna dell’albero. Pertanto, devono essere anzitutto evitate le perdite di umidità dovute alla traspirazione delle infestanti e all’evaporazione dell’acqua contenuta nel terreno può essere ovviata con l’impegno di alcune tecniche agronomiche, che del resto trovano oggi largo impiego anche per altre specie arboree. Tra queste ricordiamo le lavorazioni superficiali del suolo, pacciamatura, diserbo ed inerbimento.

Fra i fattori pedologici che concorrono a determinare i consumi idrici del mandorlo sono da annoverare, le caratteristiche fisico-chimiche del suolo (es. tessitura, struttura e contenuto si sostanza organica), contenuto di umidità del terreno che regola l’evapotraspirazione, la temperatura del terreno (causa notevoli problemi all’andamento dell’evapotraspirazione) ed infine la carenza di ossigeno. Tra i fattori climatici sono invece rappresentati da temperatura, umidità, luce e vento. I fabbisogni idrici del mandorlo possono poi essere influenzati da alcuni fattori intrinsechi fra i quali l’età della pianta, la cultivar ed i portinnesti. Al fine di estrinsecare interamente la massima produttiva deve disporre continuamente nel terreno dell’umidità indispensabile a soddisfare le diverse esigenze. Comunque il mandorlo unisce ottimi risultati con volumi d’acqua relativamente bassi ed in genere compresi tra 1000 m3/ha e 2000 m3/ha.
La scelta del sistema di distribuzione dell’acqua assume per la mandorlicoltura un significato particolare  visto l’assoluta necessità di adottare metodi che abbiano il minimo dispendio finanziario unitamente all’impiego di ridotte quantità di acqua. A tal fine, per una scelta più oculata, è bene che l’operatore tenga conto di alcuni fattori, quali la spesa per  la realizzazione dell’impianto, l’impiego di manodopera necessaria al suo servizio, la diffusione delle erbe infestanti che può accompagnare il sistema prescelto, il consumo di acqua e la possibilità di meccanizzare altre operazioni colturali. E’ ovvio che nel mandorlo possono essere utilizzate le stesse tecniche diffuse per le altre colture arboree e delle quali si descrivono sinteticamente le caratteristiche essenziali dei sistemi diffusi.
  • Infiltrazioni per solchi: metodo molto semplice impiegato nei terreni con lievi pendenze per evitare il pericolo di erosione e dilavamento. Si costruisce lungo gli interfilari una serie di solchi in numero variabile. Questo metodo necessita un’accurata sistemazione del terreno per poter allestire i solchi. Inoltre la presenza di molte erbacce porta ad eseguire ripetute lavorazioni causando un notevole aggravio di costi.
  • Infiltrazione a conche: si somministra dell’acqua nelle conche tramite solchi opportunamente costituiti al centro dell’interfilare o tramite tubazioni di diversa natura collegati direttamente alla linea principale. Rispetto all’infiltrazione da solchi questo metodo presenta una più difficile transitabilità ei campi data la presenza per tutto il campo di canalizzazione o di tubi. Come nel sistema descritto in precedenza, la somministrazione dell’acqua determina una crescita rigogliosa delle infestanti all’interno delle conche, in prossimità degli alberi e lungo i solchi, accentuando la concorrenza tra mandorli ed erbacee.
  • Aspersione: Sistema che ha trovato ampia diffusione negli ultimi anni e che consiste nel distribuire l’acqua più o meno nebulizzata al di sopra o al di sotto della chioma, mediante impianti fissi o mobili. Grazie a questo metodo viene evitata una accurata sistemazione del terreno e può essere eseguita la fertirrigazione con risparmio di manodopera. Anche in questo caso la superficie bagnata viene invasa dalle infestanti soprattutto con il metodo sottochioma che possono ricoprire totalmente gli irrigatori vicino al terreno. Per ovviare a questo inconveniente si possono usare spruzzatori statici a corta gittata montati su tubi posti in prossimità del limite estremo della proiezione della chioma. 
  • Goccia: L’acqua viene immessa a bassa pressione in una serie di tubi di plastica e fuoriesce da gocciolatoi di portata limitata (non superiore a 8l/h). I gocciolatoi devono essere collocati sulla superficie del terreno interessato dal sistema radicale dell’albero  odificando la loro disposizione man mano che la pianta cresce.Anche il sistema a goccia permette di poter distribuire fertilizzanti e s e necessario diserbanti.     
La maturazione delle mandorle si identifica con la deiscenza dei malli sull’albero che nel meridione ha inizio ai primi di Agosto  nelle cultivar precoci e termina allafine di Settembre nelle cultivar tardive. L’indice di maturità coincide con il momento in cui cominciano a schiudersi gli ultimi malli (quelli posti nelle parti interne e più ombreggiate). Sebbene il periodo ottimale sia abbastanza lungo non può passare inosservato che se la raccolta è anticipata la forza del distacco richiesta risulta elevata aumentando così i tempi e costi della raccolta. La raccolta anticipata complica inoltre la successiva smallatura per la ancora forte aderenza dei malli ai gusci, allunga i tempi di essiccazione dei frutti e possono portare alla scarsa presenza di sostanze aromatiche (semi meno sapidi e più leggeri). D’altro canto un ritardo eccessivo porta ad una riduzione della produzione per prodotto già caduto, problemi di smallatura superiore a quelle raccolte in anticipo e attacchi di patologie di varia natura.
Nei primi anni di produzione quando gli alberi sono ancora di dimensioni modeste ed i frutti facilmente accessibili da terra, le mandorle vengono raccolte a mano (brucatura). Su aberi adulti, il distacco dei frutti viene operato secondo modelli che si rifanno sia alla raccolta tradizionale che a quella meccanica. Con la raccolta tradizionale (bacchiatura) gli operatori, da terra e su scale, percuotono le branchette fruttifere con pertiche di legno provocando la caduta delle mandorle su reti o teli precedentemente distesi sotto la chioma.  Successivamente avviene il recupero a mano delle mandorle cadute ( raccattatura). Le mandorle una volta raccolte vengono travasate dalle reti in sacchi di juta oppure direttamente in rimorchi per essere poi sottoposte alle successive operazioni. Con la raccolta meccanica il distacco dei frutti viene operato da macchine scuotitrici provviste di un braccio e di ganasce per l’aggancio all’albero che agiscono per percussione oppure per inerzia unidirezionali o multidirezionali.
Una volte cadute esse vengono poi raccolte da terra grazie ad apposite macchine per la raccattatura. Esse possono essere aspiranti o raccattatrici (mediante aspo o rullo che raccoglie la mandorle preventivamente messe in andane).
Una volta raccolti i frutti devono essere liberati da malli che aderiscono ancora ai gusci. Un tempo questa operazione veniva eseguita a mano a differenza di oggi che viene eseguia tramite macchine specifiche. Concettualmente esse sono costituite da una tramoggia di alimentazione e da una camera cilindrica con pareti fessurate al centro della quale , azionata da un motore, ruota un albero provvisto di spazzole o barre. Le mandorle vengono versate nella tramoggia e da queste vengono introdotte nel cilindro. Sottoposti a rotazione dell’albero a frizione reciproca e contro le pareti del cilindro, i malli si staccano dai gusci e vengono espulsi attraverso le pareti. Le mandorle così ottenute vengono poi sospinte verso l’uscita del cilindro per essere poste in sacchi. Le mandorle che all’uscita dalle smaltatrici risultassero in tutto o in parte non smallate vengono riselezionate e riproposte all’operazione di smallatura
Le mandorle smallate devono essere essiccate per ridurre l’umidtà ancora elevata presente nei gusci e nei semi. Viene effettuata mediante soleggiamento su aie oppure, nl caso di aziende non appodderate, su terrazzi od anche per strada. Durante il giorno le masse vengono ripetutamente rivoltate per assicurare uniformità di essiccazione. Per proteggerle dall’umidità notturne vengono coperte oppure reinsaccate. Con giornate serene l’essiccazione può durare 3-4 giorni e si considera avvenuta quando le mandorle “suonano” e cioè quando scuotendone alcune nel pugno i semi fanno rumore urtando contro le pareti interne dei gusci. A questo stadio il contenuto di acqua nei semi si aggira intorno all’8-10%
Ultimata l’essiccazione e prima della conservazione le mandorle in guscio possono essere sottoposte ad imbiancamento, disinfezione e disinfestazione. Il primo viene effettuao con anidride solforosa per migliorare l’aspetto esteriore dei gusci, il secondo ed il terzo si rendono invece necessari per proteggere in magazzino i semi in guscio delle cultivar sensibili alle varie infezioni ed alle patologie.
Anche la sgusciatura, un tempo operazione manuale, oggi viene effettuata con apposite macchine sgusciatici e separatrici il cui principio di funzionamento è basato sulla franumazione dei gusci per compressione tra rulli metallici controrotanti e sulla successiva separazione tra le parti mediante ventilazione. Una volta avvenuta la sgusciatura ilo prodotto viene inviata alla sgusciatrice-separatrice dove esistono piani vibranti per il completamento manuale del lavoro di separazione della macchina, compresa la selezione di quei semi che inevitabilmente si rompono.
Una volta sgusciate le mandorle possono essere commercializza tal quali oppure essere calibrate e/o pelate ed avviate a linee di lavorazione per la preparazione e confezionamento el prodotto finale.
La calibratura è operazione che consiste nel selezionare meccanicamente i semi in base alle dimensioni oppure anche al peso a seconda che il prodotto sia disforme o uniforme. La pelatura consiste nel rimuovere meccanicamente i tegumenti seminali dai cotiledoni e viene effettuata tramite l’immersione di acqua calda (80-90°C) per circa un minuto e successiva frizione dei semi tra rulli di gomma controrotanti.

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