Come rilanciare la produzione nazionale di olio?

L'Accademia dei Georgofili ha organizzato un evento per parlare dei modelli di impianto intensivi, ad alta densità e superintensivi considerati una soluzione valida capace di rimettere in moto l'olivicoltura italiana viste le produzioni in calo degli ultimi anni

Come rilanciare la produzione nazionale di olio? - Plantgest news sulle varietà di piante

Queste moderne tipologie di impianto permettono di produrre di più in meno tempo e di ridurre i costi di produzione (Foto di archivio)

Fonte immagine: © angelo chiariello - Adobe Stock

Come va la produzione di olio in Italia? Alla fine degli anni '90 l'Unione Europea stimò che l'Italia sarebbe arrivata a produrre, ad oggi, tra le 500 e le 600mila tonnellate di olio all'anno eppure, nel grafico sotto si può vedere che è dal 2012 che non si raggiungono cifre del genere. La produzione è calata notevolmente e adesso anche 400mila tonnellate sono un obiettivo ambizioso per il settore olivicolo nazionale che deve soddisfare un consumo di 800mila tonnellate all'anno.

 

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(Fonte foto: Riccardo Gucci dell'Università di Pisa)

 

Per quanto riguarda la campagna di quest'anno (2022-2023), nonostante si prospetti un'ottima qualità dell'olio, la produzione è in calo del 30% e l'annata diventa pessima se si considera il forte aumento dei costi di produzione sia delle olive che dell'olio.

 

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Attualmente nel territorio italiano l'olivo è presente in 18 regioni con 250 milioni di piante su una superficie coltivata di più di 1 milione di ettari. Gli oliveti sono per lo più gestiti in impianti tradizionali frazionati in piccole proprietà (circa 1-3 ettari) con piante di diversi anni di età coltivate in asciutto e con scarsa meccanizzazione per la potatura e la raccolta. Con i costi in aumento gli impianti diventano sempre meno sostenibili economicamente.

 

Se quella dell'olio è una delle filiere più storiche d'Italia non è detto che debba restare così tradizionale. A detta degli esperti, infatti, serve un'evoluzione degli impianti olivicoli per rilanciare la produzione nazionale e questo non è possibile solo con gli oliveti tradizionali. L'evoluzione degli impianti olivicoli deve comprendere l'aumento della densità di impianto, forme di allevamento per l'alta densità, minore impiego di manodopera, meccanizzazione, impianti di irrigazione localizzata e fertirrigazione.

 

Questo l'argomento al centro dell'evento organizzato dall'Accademia dei Georgofili insieme al Collegio Nazionale dei Periti Agrari e Periti Agrari Laureati dal nome "Olivicoltura oggi e domani: tradizionale, intensiva, superintensiva. Opportunità e criticità a confronto nei vari contesti" che si è tenuto giovedì 29 settembre 2022.

 

Impianti intensivi, ad alta densità e superintensivi

Gli oliveti intensivi hanno una densità compresa tra 200 e 500 alberi ad ettaro. Vantano una lunga durata dell'investimento e nessuna limitazione varietale se non legata alla resistenza alle malattie (è l'esempio delle cultivar Leccino e Fs-17 resistenti alla Xylella fastidiosa) e anche della forma di allevamento. Hanno una buona produttività (fino a 12 tonnellate ad ettaro) nonostante si debbano aspettare dai 7 ai 10 anni dopo l'impianto per ottenere la piena produzione. La raccolta meccanica è possibile con macchine scuotitrici del tronco.

 

Con più di 500 e fino a 1.000 piante ad ettaro, l'oliveto diventa ad alta densità. La produttività aumenta e anche l'investimento iniziale. A livello varietale ci sono delle limitazioni verso cultivar con vigoria limitata e vegetazione compatta. In questo caso si possono coltivare varietà come Leccio del Corno, Maurino, Calatina, Piantone Mogliano, Lecciana che sono italiane oppure varietà straniere come Arbequina, Arbequina AS-1, Arbequina IRTA i-18, Arbosana I-43, Koroneiki i-38, Sikitita e Oliana. Anche la forma di allevamento è limitata alla forma in parete. I vantaggi maggiori sono legati al fatto che la piena produzione si raggiunge molto velocemente  e si può meccanizzare integralmente la raccolta.

 

Negli oliveti superintensivi si superano le mille piante ad ettaro. Qui l'investimento è molto elevato e di durata inferiore rispetto alle altre tipologie. Anche in questo caso le cultivar migliori da adottare sono quelle straniere e le forme di allevamento sono limitate a quelle a parete o a siepe. La produttività è elevata anche grazie agli impianti di irrigazione e fertirrigazione, la meccanizzazione è integrale alla raccolta con scavallatrici (3-4 ettari al giorno). Le piante entrano in produzione già dal secondo al terzo anno (80-130 quintali ad ettaro). Questo tipo di impianto richiede particolari attenzioni: terreno pianeggiante o in leggera pendenza, ambienti non siccitosi e con limitati rischi di gelate, apporto di acqua con irrigazione e dimensione degli impianti preferibilmente elevata (più di 15 ettari). La gestione delle tecniche colturali compreso il controllo dei fitofagi e dei patogeni è più complessa e richiede elevata competitività tecnica.

 

Perché aumentare la densità di impianto e puntare sulla meccanizzazione

Queste moderne tipologie di impianto offrono la possibilità di produrre in tempi molto brevi a livelli produttivi elevati rispetto al tradizionale, meccanizzando integralmente la raccolta.

 

L'aumento della densità di impianto permette di produrre di più in primis perché aumenta la superficie fotosintetizzante; la dimensione media dell'albero diminuisce e si ottiene un miglior rapporto tra superficie fogliare esposta e il volume occupato dalla chioma.

 

Ad oggi su quasi 10 milioni di ettari di superficie olivicola mondiale, 500mila ettari sono coltivati ad alta densità. È una tecnica che si sta globalizzando insieme alle varietà più adatte.

 

Non è tutto oro ciò che luccica però, gli impianti ad alta densità hanno comunque i loro limiti. L'impianto dura meno anni rispetto ad uno tradizionale, c'è un esiguo numero di cultivar impiegabili che causa perdita di biodiversità, servono terreni compatibili con la meccanizzazione e con disponibilità di risorse idriche, il controllo delle fitopatie è più complesso, c'è maggiore sensibilità ai ristagni idrici e alle gelate.

 

Il fatto di non poter utilizzare, ad oggi, cultivar tradizionali italiane non è da sottovalutare. L'olivicoltura nazionale vanta un'ampia base varietale: il 70% dell'olio prodotto proviene da circa 15 cultivar principali e il 30% da circa 30 cultivar minori e si contano in totale oltre 40 marchi di riconoscimento Ue Dop, Igp e Bio.

 

Le cultivar italiane finora testate per l'alta densità hanno tutte presentato media e alta vigoria e invece per i nuovi impianti servono cultivar a bassa vigoria. È importante però che la ricerca continui a lavorare per trovare varietà più adatte ai nuovi modelli di impianto per salvaguardare sia la biodiversità nazionale che la tipicità dell'olio italiano.

 

La meccanizzazione di tutte le fasi colturali abbatte i costi di produzione e in vista di una diminuzione sempre crescente di manodopera in agricoltura, l'uso delle macchine in campo diventa il futuro. Attualmente per la raccolta ci sono diversi mezzi che permettono di accelerare e migliorare la raccolta: agevolatori, scuotitori, pettini oscillanti e raccoglitrice in continuo. La meccanizzazione si sta evolvendo e il connubio pianta macchina diventa sempre più flessibile e meno impattante. Le recenti innovazioni delle macchine per la raccolta delle olive hanno visto un aumento delle dimensioni del tunnel con possibilità anche di regolarne la larghezza, incremento del numero delle barre scuotitrici in considerazione della maggior altezza degli olivi, inserimento di un convogliatore per facilitare l'ingresso del filare nel tunnel.

Autore: Vittoriana Lasorella

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