Le piante che non si ammalano, arrivano le biotecnologie per l'agricoltura

Il progetto IPlanta mette al centro nuove tecnologie che possono evitare danni per 1 miliardo

Le piante che non si ammalano, arrivano le biotecnologie per l'agricoltura - Plantgest news sulle varietà di piante

Il progetto IPlanta è realizzato all'interno del programma europeo Horizon2020, con il coinvolgimento di più di trenta paesi

Fonte immagine: © GiroScience - Fotolia

Un'agricoltura al passo con l'innovazione grazie alle biotecnologie. E' questo il cuore del progetto IPlanta - realizzato all'interno del programma europeo Horizon2020, con il coinvolgimento di più di trenta paesi, e coordinato dall'Università politecnica delle Marche e dall'Enea per il gruppo di lavoro sulla biosicurezza - che con un meccanismo naturale aiuta le piante a sviluppare sistemi di autodifesa dalle malattie, in particolare dai virus, permettendo così di ridurre l'uso della chimica e degli agrofarmaci in agricoltura. Il tutto con un impatto economico che - in base alla stima dei danni causati da patogeni e parassiti alle colture italiane - vale un miliardo di euro all'anno.

"Dobbiamo avere anche in Italia un'agricoltura al passo con l'innovazione - afferma la senatrice a vita Elena Cattaneo, che da farmacologa dirige il Laboratorio di biologia delle cellule staminali dell'Università statale di Milano, nel corso della conferenza 'Le nuove biotecnologie in agricoltura' a Palazzo Madama - abbiamo scoperto la 'cassetta degli attrezzi' del Dna: costruiamo molecole interferenti specifiche per silenziare o bloccare un gene malattia, e in medicina funziona bene in fase di sperimentazione clinica. È incredibile pensare che, con fiducia, speranza e molti dati, facciamo sull'uomo cose che, dal punto di vista della sperimentazione in campo, sulle piante siamo meno autorizzati a fare. Nelle biotecnologie ci sono due pesi e due misure: nella medicina sì, nell'agricoltura no".

Al centro di IPlanta c'è la tecnica RNAi che - spiega Bruno Mezzetti, coordinatore del progetto e direttore del dipartimento di Scienze agrarie dell'Università politecnica delle Marche - ha alcuni aspetti distintivi rispetto agli Ogm e alle Nbt (New breeding techniques). E in particolare: non si esprimono o applicano in pianta nuove molecole, proteine o enzimi, ma solo piccoli frammenti naturali di Rna con azione altamente specifica di silenziamento di geni di interesse; si può modulare l'espressione di geni della pianta, come per esempio ottenere piante ingegnerizzate metabolicamente con profili di acidi grassi modificati, o di organismi target al fine di bloccarne la diffusione; le molecole di dsRna hanno un'alta mobilità attraverso il sistema vascolare della pianta e possono spostarsi all'interno della pianta dal punto di produzione ad altre parti. Pertanto, il dsRna prodotto in una parte della pianta ha il potenziale di diffondersi nelle parti innestate, in modo da conferire resistenza alle malattie all'intera pianta, compresi i frutti. I frutti prodotti non sono perciò geneticamente modificati ma protetti dalla presenza di piccole molecole di Rna degradabili, ad azione specifica su organismi target (patogeni e parassiti); le molecole di dsRna possono anche essere formulate e applicate come trattamento topico alle piante per cambiare la loro fisiologia o combattere parassiti e agenti patogeni.

"Mentre la sperimentazione continua a progredire in tutti i paesi del mondo, in particolare nel settore privato - aggiunge poi Mezzetti - in Italia i ricercatori sono costretti a limitare i loro studi alla messa a punto di protocolli di modificazione genetica in laboratorio o al massimo, limitatamente ad alcune piante erbacee, in serra, senza poter vedere il risultato finale della loro ricerca. Ciò comporta uno svantaggio nei confronti di gruppi di ricerca stranieri, privati e pubblici, in termini sia di benefici economici sia di sviluppo di nuove tecnologie e piante, capaci di rendere i sistemi produttivi più efficienti ed a basso impatto, e soprattutto più sicuri e sostenibili per l'ambiente e per i consumatori".

"Questo percorso - osserva Salvatore Arpaia del laboratorio di biosicurezza dell'Enea - ha il vantaggio, rispetto ad altre strade, che gli studi sulla biosafety per garantire la sostenibilità in ogni fase del progetto sono iniziati subito: e tutti quelli fatti finora coinvolgendo le api con l'uso di diversi Rna interferenti hanno dato risultati negativi dal punto di vista tossicologico e quindi positivi da quello ambientale".

Le crescenti difficoltà date per esempio dall'arrivo di nuove specie dannose a causa sia dei cambiamenti climatici e per l'aumento degli scambi commerciali a livello mondiale, vengono messi in evidenza da Luca Casoli, del Servizio fitosanitario della Regione Emilia Romagna e direttore dei due consorzi fitosanitari di Modena e Reggio Emilia: "Non si può ragionare sull'emergenza con usi speciali o deroghe, né puntare tutto sull'agricoltura biologica, ma bisogna accompagnare tutto questo con qualcosa di nuovo, con un'evoluzione ed un'apertura".

Per Gian Luca Mordenti, rappresentante del Consorzio italiano vivaisti viticoli-Ampelos, "l'Italia ha enorme biodiversità per quanto riguarda le varietà di vite: sono circa 600 quelle da vino iscritte e catalogate nel registro per la commercializzazione, cui vanno aggiunte quelle da tavola e i portinnesti. Come vivaisti - afferma - guardiamo con interesse a questo tipo di ricerca e speriamo venga data libertà di sperimentazione in campo di queste nuove biotecnologie, perché la modifica del Dna è piccola e la varietà rimane la stessa, quindi il viticoltore sa che riuscirà a continuare a vendere lo stesso prodotto".

Secondo Marco Aurelio Pasti, di Confagricoltura e imprenditore agricolo, fino a inizio anni 2000 in Italia si producevano circa 10 milioni di tonnellate di mais all'anno, ma da allora ad oggi la produzione si è quasi dimezzata e ogni anno per importare i 5 milioni di tonnellate mancanti l'agricoltura italiana deve sostenere un costo di circa un miliardo di euro: "E' il prezzo della mancata innovazione, non possiamo seminare il mais resistente alla piralide, ma possiamo importarlo dall'estero, dove è permesso coltivarlo. Questo vuol dire perdere competitività".
E anche Andrea Gennaro, scientific officer del panel sugli Ogm dell'Efsa, fa presente che l'Agenzia europea per la sicurezza alimentare si avvale dell'aiuto di esperti scienziati per la valutazione del rischio.

Autore: Tommaso Tetro

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