Querce: una risorsa in via di estinzione?
Cambiamento climatico e deriva genetica fra le concause del deperimento. A cura di Mario A. Rosato
Con il termine generico "querce" vengono chiamate diverse specie di alberi della famiglia delle Fagaceae appartenenti al genere Quercus. Hanno caratteristiche morfologiche similari e sono perfino capaci di ibridarsi fra di loro (1), in alcuni casi conservando le caratteristiche morfologiche della pianta femmina, in altri casi dando origine a fenotipi intermedi; questo spiega l'enormità di sinonimi e sottospecie nella letteratura botanica.
In Italia le più diffuse sono le seguenti: roverella (Quercus pubescens), rovere (Quercus petraea), quercia comune o farnia (Quercus robur L.) e cerro (Quercus cerris). Tutte quante accomunano l'utilità per l'uomo sin dai tempi antichi, motivo per il quale sono state sovrasfruttate e le loro popolazioni ormai sono relitti isolati distribuiti nell'intero territorio nazionale.
La risorsa più pregiata di questi alberi è il legno.
Quello di farnia è il più ricercato perché è molto ricco di tannini che lo rendono molto resistente anche alle intempèrie o al contatto con l'acqua, motivo per il quale viene utilizzato nella carpenteria navale ma anche per la fabbricazione di mobili e botti per vino. Il legno di rovere è simile a quello di farnia, ma va precisato che la "rovere di Slavonia" tanto apprezzata in ebanisteria è perlopiù legno di farnia. Il cerro invece è quasi privo di tannini e più difficile da lavorare, per cui è più ricercato per la produzione di carbone o come legna da ardere, appunto perché il basso contenuto di tannini favorisce una combustione più pulita, con meno fumo.
La densità e il potere calorifico dei legni di quercia sono rispettivamente di 780 chilogrammi/m3 e 3,98 kWh/chilogrammo (legno stagionato al coperto).
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Farnia e rovere sono tra le specie forestali decidue più importanti dal punto di vista economico ed ecologico in Europa. L'alto fusto, il ceduo composto e il ceduo semplice sono le tre principali forme di governo. Sin dall'inizio del Diciannovesimo Secolo i forestali hanno convertito molti cedui, semplici e composti, all'alto fusto.
Recentemente, in molte Nazioni europee è stata promossa una selvicoltura di tipo naturalistico. La rinnovazione naturale dovrebbe essere una priorità, ma poiché presenta delle difficoltà a volte sono necessarie delle piantagioni. La qualità genetica del materiale riproduttivo forestale è un fattore cruciale per le problematiche tecniche ed economiche di tali piantagioni.
Le querce sono tra le specie più diverse fra quelle forestali. Gli alti livelli di diversità genetica sono molto probabilmente dovuti alla conservazione di popolazioni di larghe dimensioni, al flusso genico su lunga distanza e all'interfertilità. I tempi lunghi che intercorrono tra una generazione e l'altra - da quaranta a cento anni per produrre le prime ghiande - impediscono alle popolazioni di subìre la deriva genetica. Le querce bianche formano un complesso di specie in cui i geni vengono generalmente scambiati.
Durante l'Era Quaternaria le querce erano soggette a importanti migrazioni in risposta ai cambiamenti climatici. Nel corso dell'ultima glaciazione il loro areale naturale era ristretto al Sud della Penisola iberica, all'Italia centrale e al Sud della Penisola balcanica. In meno di 7mila anni dopo la fine dell'ultima glaciazione le querce si sono espanse fino al loro attuale areale. L'ibridazione interspecifica è stata il meccanismo migratorio chiave perché ha facilitato la diffusione della specie tardo-successionale (Q. petraea) in quella pioniera (Q. robur).
La successiva ricolonizzazione attraverso diverse strade migratorie post glaciali ha lasciato una traccia genetica come dimostra il Dna cloroplastico. Questi movimenti hanno influenzato profondamente la distribuzione della diversità genetica. Da oltre 8.500 anni l'uomo ha fortemente ridotto la distribuzione delle querce, sebbene la copertura dei querceti sia aumentata dal Diciannovesimo Secolo grazie alla gestione selvicolturale.
Oggi la maggior parte delle foreste è gestita dall'uomo e le foreste primigenie, come Bialowieza in Polonia, stanno diventando sempre più rare. In Europa esiste una lunga tradizione di gestione dei querceti che sembra essere molto conservativa nei riguardi delle risorse genetiche, ma l'impatto delle diverse pratiche selvicolturali è relativamente sconosciuto. Il maggior pericolo è l'introduzione di genotipi "esotici" - cioè da habitat diversi a quello che si vuole riforestare - attraverso le piantagioni. Questa minaccia è stata ignorata nel passato. Le querce bianche hanno nicchie ecologiche molto ampie e a volte occupano habitat estremi (versanti rocciosi in montagna, dune sabbiose, suoli salini, torbiere e garighe). Queste popolazioni sono ad alto rischio di estinzione perché il numero di individui è esiguo, gli habitat sono instabili e l'impatto umano è spesso considerevole.
È dunque fondamentale effettuare i ripopolamenti con ghiande provenienti da individui geneticamente adatti alle caratteristiche pedoclimatiche del luogo. Nel 1739 si osserva per la prima volta in Germania il fenomeno noto come "deperimento delle querce", propagatosi poi nel resto dell'Europa fino all'ultimo episodio rilevato in Spagna nel 1989 (2).
Si tratta di un insieme di avversità che colpiscono le querce, in particolare roveri, che sin dall'inizio assunsero la forma di una epidemia ma che in realtà sono il risultato di un insieme di concause (infestazioni fungine e da processionaria, indebolimento delle micorrize e dell'apparato radicale in generale che comporta difficoltà di assimilazione dei nutrienti e crescita più lenta, in alcuni casi morte dell'individuo). Si manifestano per la morte dei rami apicali e il diradamento delle foglie, noto come "chioma trasparente", talvolta risultando nella morìa di alcuni (pochi) alberi, ma con evidente stato di sofferenza complessivo di tutto il bosco.
In Italia ciò è stato osservato per la prima volta nel Parco Nazionale del Circeo (Lt) nel 1980, e da lì si estese al resto della Penisola a partire dal 1986, mostrando però sintomi diversi.
Il progetto di ricerca ResQ, durato tre anni, ha messo in evidenza un fatto curioso: le piante deperienti non differiscono per caratteristiche microambientali da quelle sane (non sono circondate da una vegetazione diversa, non subìscono maggiore competizione, non si trovano in situazioni di maggiore stress idrico, eccetera), e sembra che né i patogeni fungini né l'efficienza nell'uso dell'acqua di ciascuna pianta siano fattori chiave per resistere al deperimento.
Esplorando il genoma di ogni singola farnia indagata dai ricercatori è stato scoperto che circa mille geni sono fortemente collegati con la condizione di deperimento. Questo apre scenari nuovi per la comprensione del fenomeno del deperimento della quercia e l'individuazione di strategie efficaci per contrastarlo tramite la raccolta e la messa a dimora di semi resistenti. Durante il progetto sono stati individuati e mappati gli individui che producono le ghiande potenzialmente più adatte, da raccogliere per rimboschimenti.
Dal punto di vista della produttività, le querce forniscono legname pregiato ma hanno una crescita molto lenta, per cui la loro coltivazione andrebbe incentivata economicamente. Nonostante la sua retorica sulla carbonicoltura e i propositi di piantare 3 miliardi di alberi entro il 2030 la Commissione Europea a guida Ursula von der Leyen è ancora lontana da tale obiettivo (solo 22.621.416 al 7 agosto 2024). Dai siti ufficiali non sembra che ci siano progetti specifici per supportare il rimboschimento dei querceti. Eppure ce ne sarebbe bisogno, non solo per compensare gli esemplari morti di deperimento ma anche per supportare agricoltori, silvicoltori e vivaisti anziché le Ong. I querceti sono in grado di accumulare 14 tonnellate SS/ettaro.anno durante i primi trentatré anni, scendendo gradualmente fino a 10 tonnellate SS/ettaro.anno nei boschi di oltre cento anni (3). In termini di CO2 atmosferica catturata ciò significa fra 26,7 e 19 tonnellate/ettaro.anno.
Ricordiamo infine il valore economico potenziale delle querce nel caso della tartuficoltura, almeno nelle aree con suoli adatti a tale scopo, e per il sottoprodotto per l'alimentazione suina di pregio: le ghiande.
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Bibliografia
(1) Ducousso, A. e S. Bordacs. 2009. Euforgen, Linee guida per la conservazione genetica e l'uso della rovere (Quercus petraea) e della farnia (Quercus robur). Traduzione: A. Rositi, M. Morganti, B. Schirone, Dipartimento Daf, Università della Tuscia, Viterbo. Creia, Fondi, Latina, Italia, sei pagine. Originariamente pubblicato da Bioversity International, in inglese, nel 2000.
(2) Fulvio Caronni et al., Progetto Depfar, Indagini diagnostiche sul deperimento della farnia nella Valle del Ticino, Regione Lombardia, 2006.
(3) Kozak, Ihor & Holubets, M.. (2001). Biomass production and productivity in oak forests of the Eastern Carpathians in relationship with stands age. Ekologia Bratislava. 20. 301-309.
Autore: Mario A. Rosato