I portainnesti M e l'effetto qualità: una nuova scoperta

Dopo venti anni di sperimentazione e microvinificazioni, condotte dall'Università di Milano in collaborazione con Winegraft, è stato scoperto che i portainnesti della serie M possono migliorare la qualità dei vini

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Vigneti impiantati con i portainnesti della serie M

Fonte immagine: Winegraft

Veicolo per una qualità superiore dei vini: questa è l'ultima scoperta sorprendente sulla nuova generazione di portainnesti M, che quindi non fungono solo da barriera contro la siccità e il calcare.
Infatti, dopo oltre venti anni di sperimentazioni e microvinificazioni in dieci diverse aree produttive del Paese, dal Piemonte alla Sicilia, l'équipe dell'Università di Milano ha dimostrato che i "4 moschettieri" della serie M sono in grado di portare il vitigno a migliori performance produttive in tutti i diversi aspetti che determinano la qualità dell'uva e quindi del vino: vigore e produzione del ceppo, maturazione tecnologica, fenolica e aromatica delle uve.

 

La nuova generazione di portainnesti è selezionata dal team di ricerca dell'Università di Milano guidato dai professori Attilio Scienza e Lucio Brancadoro, con il supporto di Winegraft, società che riunisce nove tra le aziende vitivinicole più importanti del Paese (Ferrari, Zonin, Banfi Società Agricola, Armani Albino, Cantina Due Palme, Claudio Quarta Vignaiolo, Bertani Domains, Nettuno Castellare, Cantine Settesoli). I portainnesti sono moltiplicati e distribuiti in esclusiva da Vivai Rauscedo.

 

Questa scoperta ribalta una vecchia credenza che ha accompagnato la diffusione dei portainnesti fin dalla crisi fillosserica e offre un quadro tutto nuovo per capire a fondo le potenzialità della serie M, che inizia ad essere richiesta da tutte le grandi aree viticole mondiali.

 

"La portata di quest'ultima ricerca dell'Università di Milano è veramente rivoluzionaria perché cambia la visione storica che abbiamo sempre avuto dei portainnesti. Da oggi in poi non dobbiamo più considerarli solo una barriera contro fillossera, siccità, eccetera ma come un efficiente strumento biologico per ottenere una superiore qualità dell'uva e quindi del vino" ha commentato Marcello Lunelli, presidente di Winegraft realtà che da dieci anni sostiene lo sviluppo della ricerca su questi portainnesti.

 

Le prove sperimentali

Le valutazioni agronomiche sono state realizzate in più di venti vigneti sperimentali, ubicati nelle principali aree viticole italiane e distribuiti geograficamente sull'intero territorio nazionale.

 

Le combinazioni d'innesto valutate in questi anni sono oltre duecento e solo per due combinazioni che sono Michele Palieri su M1 e Red Globe su M3 sono state evidenziate disaffinità d'innesto.

 

I campi prova sono stati realizzati utilizzando per ciascun areale il o i vitigni tipici in combinazione con i quattro portainnesti M e con due o più portinnesti più utilizzati in ciascuna area, ad esempio K5BB, SO4, 420A, 1103P, 110R, 140 Ru. Inoltre, per ciascuna combinazione d'innesto sono state messe a dimora almeno cento viti per ottenere una produzione adeguata ad essere microvinificata, cioè per svolgere delle vinificazioni con volumi d'uva contenuti.

 

"Nel nostro caso si vinificano circa 100 chilogrammi di uva. Queste sono condotte in modo che si possano confrontare gli effetti delle diverse tesi sperimentali, in questo caso le differenti combinazioni d'innesto sulle caratteristiche dei vini. Il motivo di questa pratica è che l'effetto delle differenti tesi sul prodotto finito vino non sono sempre determinabili attraverso le indagini sui mosti, anche se molto sofisticate" spiega Lucio Brancadoro, professore dell'Università di Milano.

 

Infine, su questi impianti, dopo l'entrata in produzione, sono state condotte indagini agronomiche ed enologiche per un minimo di tre anni fino ad arrivare ad oltre sei anni.

 

Migliore maturazione, migliore qualità

"Siamo riusciti finalmente a dimostrare che anche nella viticoltura, come ormai accreditato negli altri ambiti delle colture arboree – ha spiegato Attilio Scienza, professore dell'Università di Milano – il portainnesto è anche un prezioso veicolo di miglioramento qualitativo della produzione".

 

Come scritto a inizio articolo sono stati necessari due decenni di sperimentazione in campo e articolate microvinificazioni per arrivare al risultato. Questo perché è oggettivamente più difficile in viticoltura svolgere approfondite indagini sull'effetto del portainnesto sulla qualità delle uve a causa delle complesse interazioni che si creano tra questo, l'ambiente di coltivazione e i diversi vitigni.

 

Ma l'obiettivo è stato raggiunto: "L'importante mole di informazioni che abbiamo acquisito nel corso di questo lungo lavoro sperimentale - ha sottolineato Brancadoro - ci consente oggi di avere un panorama più chiaro sull'effetto diretto della scelta del portainnesto nelle performance produttivo qualitative della vite e dell'uva, con riferimento alla qualità dei vini ottenuti".

 

In particolare, nelle diverse combinazioni di innesto è emersa non solo l'estrema adattabilità degli M ai diversi ambienti della viticoltura del nostro Paese ma anche come, attraverso la regolazione delle risposte adattive della vite alle differenti condizioni ambientali, questi siano un importante driver dei risultati qualitativi.

 

"Rispondendo in modo più efficiente agli stress abiotici sempre più estremi a causa del cambiamento climatico gli M consentono un più favorevole decorso maturativo delle uve, premessa di una superiore qualità dei risultati enologici" continua Brancadoro.

 

Maggiori polifenoli per i vini rossi e maggiore acidità per gli spumanti

Nel dettaglio, le sperimentazioni in campo e le analisi sensoriali sui vini ottenuti nei campi sperimentali hanno dimostrato per il Cabernet Sauvignon innestato sugli M migliori risultati produttivi in generale, bilanciati da una buona vigoria e con valori di zuccheri superiori alla media.

 

Parametro elevato che ritroviamo pure nello Chardonnay messo a dimora in campi di confronto nella Franciacorta e nel Trento Doc abbinato a livelli superiori di acidità titolabile, in particolare di acido malico e minore pH, elemento determinante per una produzione spumantistica di qualità. L'analisi sensoriale dei vini ottenuti da Chardonnay innestato con gli M allevato in Franciacorta ha evidenziato livelli superiori di acidità e un profilo aromatico complesso che esalta le note di frutta tropicale: dal punto di vista olfattivo questi vini sono risultati più intensi e alla prova del gusto con una maggior acidità, sapidità, struttura e persistenza.

 

Oltre che sui parametri tecnologici, si è visto quanto il portinnesto influisca pure sull'accumulo di polifenoli durante la maturazione, aspetto determinante nella qualità dei vini rossi. Nei campi di confronto in combinazione con diversi vitigni rossi, Nero d'Avola, Cabernet Sauvignon e Sangiovese, sono stati rilevati livelli più alti di polifenoli totali nelle uve, una più accesa tonalità delle sostanze coloranti accompagnata da un loro maggiore accumulo e concentrazione. In particolare, per la frazione antocianica non decolorante che facilita una migliore persistenza del colore durante l'affinamento dei vini.

 

Un ultimo aspetto emerso dalla sperimentazione, e rilevante ai fini dell'analisi sensoriale, è quello della composizione aromatica delle uve che i portainnesti M condizionano in maniera determinate perché, influenzando una risposta differente alle condizioni ambientali, hanno effetti diretti anche sul metabolismo secondario della vite. "Questo aspetto risulta ad oggi poco studiato a causa delle difficoltà di analizzare l'elevato numero di composti aromatici presenti nei vini ottenuti da diverse combinazioni d'innesto. - ha spiegato ancora Brancadoro - Nelle nostre prove effettuate su uve Chardonnay e Sangiovese, tuttavia, al di là dei dettagli sugli incrementi dei singoli composti riscontrati (acidi volatili, tioli, esteri etilici, fenoli, norisoprenoidi, ecc.) allo stato libero o sotto forma di precursori d'aroma, abbiamo avuto conferma di quanto i portinnesti M, siano un driver decisivo per raggiungere una qualità in vigna decisiva per ottenere risultati enologici d'eccellenza".

 

In che modo si hanno effetti diretti sul metabolismo secondario? "I portainnesti della serie M hanno mostrato in questi anni, ciascuno per il suo ambiente di elezione e con le diverse combinazioni d'innesto, una grande capacità di equilibrare la fase vegetativa con quella produttiva della vite".
Ad esempio, in questi anni è stato possibile evidenziare come i vitigni innestati su M4 abbiano un decorso della maturazione molto regolare. Soprattutto in condizioni di stress idrico la sua elevata tolleranza permette di mantenere un ottimo equilibrio del rapporto fra zuccheri e acidi, e nel caso di vitigni a bacca rossa di ottenere una maggior maturità fenolica.

 

Il cambio di prospettiva viticola che i risultati della ricerca portata avanti dell'Università di Milano impongono nell'affrontare la scelta del portinnesto è evidente: "Questa scoperta ci porta a riconsiderare complessivamente l'approccio che abbiamo sempre avuto verso i portainnesti. – ha concluso Lunelli - La prova scientifica dell'importanza che gli M ricoprono nel determinare la qualità di un vino conferma la necessità di una scelta accurata della combinazione d'innesto che tenga conto della varietà e delle caratteristiche ambientali ma considerate anche in funzione dell'obiettivo enologico che si vuole perseguire".

 

Tale lavoro ha perciò evidenziato come, in una condizione di cambiamento climatico, la scelta del portainnesto è sicuramente determinante per la riuscita produttiva e qualitativa dei nuovi impianti. In particolare, si può affermare che i nuovi portainnesti M, grazie alle loro caratteristiche, permettono di realizzare vigneti che meglio rispondo alle esigenze di sostenibilità economica e ambientale dell'odierna viticoltura.

 

La serie M, adattabilità e tolleranza

Questi portainnesti sono stati selezionati per rispondere alle esigenze di sostenibilità della moderna vitivinicoltura.

 

In particolare, hanno un vigore che va da medio a contenuto e con allo stesso tempo una buona, se non ottima, tolleranza agli stress abiotici come carenza idrica, suoli calcarei e/o salini e squilibri nutrizionali.

 

Queste qualità consentono un ampio adattamento alle più differenti condizioni di coltivazione mantenendo comunque un elevato equilibrio vegeto produttivo della pianta, fattore determinante per la qualità delle produzioni.

Autore: Chiara Gallo

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