Rotazioni più lunghe: la sostanza organica non cresce. Cosa dice la ricerca dell'Iowa University
I ricercatori americani hanno comparato i dati ventennali provenienti da tre diversi tipi di rotazioni, biennali, triennali e quadriennali: migliora la disponibilità di azoto, ma non lo stock di carbonio organico

Rotazioni pluriennali: più azoto, ma uguale sostanza organica (Foto di archivio)
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Il suolo è ambiente complesso, le cui dinamiche fisiche, chimiche e biologiche si complicano ulteriormente quando risulti coltivato. Diversi sono infatti i tipi di conduzione dei terreni, vedendo rotazioni più o meno complesse (talvolta del tutto assenti o quasi) e altrettanto diverse gestioni della fertilità.
Di solito si pensa che rotazioni lunghe e ad alto grado di differenziazione botanica, come pure letamazioni abbondanti, possano aumentare significativamente il contenuto di sostanza organica nello strato coltivato. Poi salta fuori una ricerca che mette in evidenza i limiti di questa convinzione.
La ricerca porta infatti il titolo di “Diversified cropping systems with limited carbon accrual but increased nitrogen supply” ed è a firma di Bo Yi, di Wenjuan Huang e di altri 12 ricercatori in rappresentanza di vari dipartimenti della statunitense Iowa State University [Rif. Nature Sustainability, 8, 152-161 (2025)]. Tradotto in italiano, il titolo diviene “Sistemi di coltivazione diversificati con accumulo limitato di carbonio ma maggiore apporto di azoto”.
Stando a quanto osservato dai ricercatori nel corso di vent'anni di studio – quindi un lasso di tempo alquanto significativo – la lunghezza e la complessità delle rotazioni, come pure le letamazioni del terreno, non avrebbero spostato il tenore di sostanza organica, né nei primi 30 centimetri di profilo, ossia quello coltivato, né quello a un metro di profondità.
La tesi di partenza era invece quella opposta, poiché in un sistema di coltivazione diversificato l'apporto di carbonio organico è maggiore e quindi pareva lapalissiano che se ne sarebbe immagazzinato di più nel terreno. In realtà, ciò non è avvenuto, sebbene le pratiche di gestione rigenerativa dei campi coltivati risultino utili per altri versi.
Come è stata condotta la ricerca
Iniziata nel 2001, la ricerca ha posto a confronto tesi diverse. La prima di esse prevedeva una rotazione biennale mais-soia posta a confronto con conduzioni maggiormente diversificate che oltre a mais e soia includevano anche altri cereali, per esempio avena e leguminose, nonché input di letame in luogo dei fertilizzanti chimici impiegati nella prima tesi.
Le misurazioni svolte in laboratorio sono state rese ulteriormente precise grazie all'adozione di isotopi stabili per esaminare lo stock di sostanza organica nel terreno, come pure la sua mineralizzazione. Contrariamente all'ipotesi prevalente, che vuole i sistemi diversificati aumentare gli stock tellurici di carbonio organico, i ricercatori non hanno trovato differenze fra le diverse tesi, né nei primi 30 centimetri di terreno, né a un metro di profondità.
Nei sistemi maggiormente diversificati è stato infatti registrato un notevole aumento dei tassi di mineralizzazione della sostanza organica presente nel profilo da più tempo, soprattutto da quella derivante dai residui colturali del mais, con relativa liberazione di una maggiore quantità di azoto. I modelli hanno cioè rivelato come una maggiore mineralizzazione della sostanza organica presente da mesi o da anni abbia controbilanciato i maggiori input di carbonio organico somministrati tramite rotazioni e letame.
In sostanza, la gestione maggiormente differenziata dei campi aumenta sì la disponibilità di azoto, ma non il tasso di carbonio organico. Inoltre, è stato calcolato come tutte le tesi abbiano emesso livelli simili di anidride carbonica dai residui di mais, nonostante il mais fosse coltivato più frequentemente nella rotazione biennale standard.
Ciò è stato attribuito dagli autori al fatto che la decomposizione accelerata nei sistemi di coltivazione diversificati si nutra in buona parte della materia organica più vecchia proveniente dai precedenti cicli a mais.
I vantaggi della diversificazione, in sintesi
I vantaggi di tale gestione pluriennale possono quindi essere individuati in una maggior salute della rizosfera dal punto di vista microbiologico, come pure in una minore richiesta di input chimici azotati, voce di peso nel computo complessivo delle emissioni climalteranti attribuite all'agricoltura. Se però si spera di aumentare la sostanza organica complessiva, allora no. Pare proprio non funzioni così. Per lo meno nei campi dell'Iowa University.
Autore: Donatello Sandroni