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Olivo, il futuro è oggi

L'Italia olivicola è in crisi ma cerca un modo per risalire la china. Per farlo cerca d'innovarsi tra impianti superintensivi e varietà tolleranti a Xylella

Olivo, il futuro è oggi - Plantgest news sulle varietà di piante

Un settore però che oggi fattura circa 3 miliardi di euro all'anno, pari al 3% dei ricavi dell'intero agroalimentare

Fonte immagine: © Upzotova - Pixabay

Dici olivo o olio ed il pensiero va sicuramente al made in Italy. Perchè questa pianta ed il suo prodotto derivato rappresentano una delle eccellenze agroalimentari del nostro Paese. Un settore che oggi fattura circa 3 miliardi di euro all'anno, pari al 3% dei ricavi dell'intero agroalimentare. La situazione però è a dir poco drammatica, visto che l'olivicoltura tradizionale del Bel Paese vive una grave crisi economica e produttiva ormai da molti anni.

Nel 2016 l'Italia si è posizionata al terzo posto con 2.092.175 tonnellate prodotte su una superficie di 1.165.562 ettari, preceduta da Spagna con 2.573.473 tonnellate e dalla Grecia con 2.343.383 tonnellate (Fonte dati: Faostat). Nel 2017 la situazione è ulteriormente peggiorata. "L'Italia ha subito un vero e proprio tracollo produttivo - spiegava in una nota il Cno-Consorzio nazionale degli olivicoltori dopo l'assemblea di luglio 2017 a Firenze -, quantificabile in una contrazione del 31% negli ultimi sei anni. Siamo stati oramai più che doppiati dalla Spagna e superati della Grecia. E nuovi Paesi stanno crescendo: Marocco, Tunisia, Turchia, Egitto, Algeria e Siria. Proprio quest'ultimo potrebbe averci superato buttandoci giù dal podio, se non fosse attraversato da una guerra devastante che blocca i movimenti del comparto". 

 
Pianta di olivo con oliva bagnata dall'aqua
Nel 2016 l'Italia è stata il terzo produttore mondiale, oggi forse non lo è più
(Fonte foto: ©Ulleo - Pixabay)
 

Come sarà il 2018?

La stagione 2017/2018 è appena iniziata. Si prevede però un aumento rispetto alla stagione precedente, che di fatto è stata bassissima. Secondo le stime di Ismea la produzione 2016/2017 si è attestata a 182mila tonnellate, con un calo del 62% rispetto all'annata 2015/2016. Stime che però restano ancora lontane dagli standard ordinari. Per quanto riguarda i consumi il trend è in crescita sia nei paesi tradizionali che per quelli meno tradizionali, sempre di più attratti da un'alimentazione più salutare e vicino alla dieta mediterranea. Tra tutti spiccano la Cina e gli Stati Uniti. Nel gigante orientale ad esempio i consumi di olio d'oliva dal 2008 al 2015 sono triplicati.

 

Quali sono i problemi?

Non possiamo limitarci ad uno. E soprattutto la crisi ha radici profonde: superficie olivetata media per azienda troppo bassa (1,5 ettari mentre in Spagna è di 5 ettari), frammentazione del settore, elevato numero di impianti in zone marginali, gestione agronomica antiquata, varietà concettualmente vecchie che limitano la meccanizzazione e la difesa sostenibile. Tutto questo si traduce in produttività insoddisfacente e in costi di produzione elevati, soprattutto per le operazioni di raccolta e di potatura (che oggi possono incidere fino al 70% del totale).
In tutto questo entra a gamba tesa la Xylella fastidiosa var. pauca, un batterio da quarantena che si sta espandendo inesorabilmente e che è responsabile della morte degli olivi in Puglia (prima area produttiva italiana). L’area infetta risulta ormai di oltre 5mila chilometri quadrati e comprende tra 1 e 3 milioni di olivi.

 
Rami di olivo con olive nere
 
 

Impianti intensivi e superintensivi

I prezzi di mercato all'ingrosso sono troppo bassi rispetto alla qualità effettiva del prodotto finale, specialmente se si parla di olii a denominazione protetta e controllata. E per spuntare prezzi adeguati ogni azienda ha dovuto con fatica usare efficaci ma costose strategie di marketing. Ma allora che fare per invertire il trend? sicuramente un primo approccio è ridurre drasticamente i costi colturali e contemporaneante aumentare le rese per ettaro, senza perdere di vista qualità e valore.
Una soluzione è l'uso di impianti intensivi e superintensivi. In entrambi i casi si tratta di due nuove ideologie agronomiche che permettono di razionalizzare, ottimizzare e modernizzare la coltivazione olivicola aumentando la densità d'impianto, meccanizzando le più costose fasi colturali, rendere più sostenibile la coltivazione e anticipando l'entrata in produzione. Naturalmente, come in tutte le cose, presentano vantaggi e svantaggi.
Ad esempio nell'intensivo la densità d'impianto è di 400-600 piante ad ettaro mentre nel superintensivo di 1.400-1.600 piante ad ettaro. Partendo dal fatto che oggi gli impianti estensivi e monumentali hanno mediamente 200-250 piante per ettaro.
Quale delle due scegliere è legata esclusivamente alla scelta imprenditoriale che il produttore vuole fare. Diciamo che nei sistemi d'allevameno superintensivi scompare definitivamente il concetto di albero singolo e appare il concetto di parete produttiva. Inoltre viene inserito un processo di meccanizzazione integrale di tutte le operazioni colturali, potatura compresa. La raccolta avviene in modo continuo. Tutto porta ad una riduzione dei costi di produzione, ad una maggiore sostenibiltà ecologica e ad un maggior controllo passivo del vettore del batterio, lo Philaenus spumarius.

 
Esempio di oliveto superintensivo
Ecco un esempio di impianto superintensivo
(Fonte foto: ©Vito Vitelli)
 

Quali le varietà più adatte?

Per il modello di olivicoltura superintensiva le cultivar più adatte sono le spagnole Arbosana (sicuramente la migliore) e Arbequina; mentre la greca Koroneiki, prima ritenuta ugualmente adatta, presenta diversi limiti. Tra le varietà italiane ricordiamo Nociara e Fs 17* Favolosa, entrambe caratterizzate da vigoria media. Queste varietà sono state indicate da Salvatore Camposeo, docente di Arboricoltura generale e presso il Disaat-Dipartimento di Scienze agro-ambientali e territoriali dell’Università di Bari, durante la 'XII giornata dimostrativa di raccolta meccanica in continuo organizzata nel Centro didattico-sperimentale 'P. Martucci' di Valenzano (Ba) che si è tenuta il 10 novembre 2017.

Autore: Lorenzo Cricca
© Plantgest - riproduzione riservata

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