Amaranto made in Italy, una nuova coltivazione

Dal 2010 l'Università di Firenze sperimenta la coltivazione di amaranto e quinoa in Italia. Il risultato sono Magnifico e Quipu: due varietà che si adattano ai nostri areali e che rappresentano valida alternativa ai cereali tradizionali

Amaranto made in Italy, una nuova coltivazione - Plantgest news sulle varietà di piante

Amaranto è uno pseudocereale perfetto per le diete dei celiaci e dei diabetici

Fonte immagine: © Barytek - Adobe Stock

L'amaranto (Amaranthus spp.) negli ultimi anni sta riacquistando interesse sia commerciale che mediatico. Questa pianta erbacea annuale è originaria del Messico e del Centro America dove per Maya ed Aztechi rappresentava uno dei cibi principali (oltre che elemento rituale). Questo pseudocereale per molti anni però è stato abbandonato, sostituito dai cereali più tradizionali per varie motivazioni. E' stato però riscoperto come preziosa risorsa alimentare negli anni '70. Oggi i più importanti mercati sono gli Usa, la Cina e l'India, dove l’amaranto viene coltivato su grandi superfici ed è considerato ormai al pari di altre colture industriali.
Scopri la nuova pianta su Plantgest. Oggi presentiamo l'amaranto.

In Italia l'amaranto è ancora poco conosciuto dal punto di vista agronomico. Ha però un certo mercato: sono oltre mille le tonnellate che vengono importate dall'estero per essere trasformate ed utilizzate nell'industria alimentare e cosmetica. Il settore alimentare è al momento quello più interessante visto che l'amaranto è privo di glutine, povero di zuccheri e ricco di proteine risultando così interessante per le diete per celiaci e diabetici.

"L'amaranto, così come la quinoa, potrebbe diventare un prodotto made in Italy - spiega Paolo Casini, professore di Agronomia e coltivazioni erbacee all'Università di Firenze -. Per molto tempo è rimasto relegato ad una coltivazione di nicchia ma i mutati mercati moderni (e le nuove esigenze ambientali) hanno rivalutato questa straordinaria pianta, che richiede pochissime cure per crescere e non necessita di concimi costosi e grandi quantità d’acqua. Per questo motivo nel 2010 il Dagri dell’Università di Firenze ha iniziato a studiare l’amaranto assieme alla quinoa, altro superfood. In modo particolare abbiamo cercato di capire l'adattabilità dell'amaranto nei terreni della Toscana ed di altri ambienti italiani". La ricerca è stata possibile grazie al contributo ed all'aiuto della Tozzi Green Spa (tutte le sperimentazioni sono state effettuate nella Tenuta di Cesa ad Arezzo della Regione Toscana).
Per maggiori informazioni sull'amaranto è possibile vedere un breve documentario 'Amaranto: colore, salute, bellezza' sul canale Youtube dell'Unifi.
 

Il prof. Paolo Casini del Dagri dell'Unifi parla di amaranto sul Canale Youtube dell'Unifi
(Fonte video: © Unifi)
“L'amaranto - prosegue Casini - può quindi essere un'interessante e remunerativa alternativa ad altre colture erbacee più tradizionali. Questo pseudocereale non è destinato al momento a sostituire nessuno dei grandi cereali ma potrebbe rappresentare (assieme alla quinoa) un nuovo mercato, che attualmente è soddisfatto soltanto da prodotti d’importazione”.
Come per la quinoa l'Unifi ha costituito Quipu*, varietà di quinoa made in Italy, nell'amaranto è stata realizzata Magnifico*. Questa nuova varietà di amaranto made in Italy al momento è sottoposta alla procedura di registrazione presso il Cpvo. Le piante saranno presenti in commercio dal 2021: l'Università non può commercializzare seme certificato ed al momento la nuova varietà è coperta da licenza che l'ateneo di Firenze può cedere ad eventuali interessati alla sua moltiplicazione e vendita.

"Può essere coltivato sia per la produzione di granella, che per quella dell'olio (dal quale si estrae lo squalene) e per le foglie consumate come spinaci o dalle quali, per alcune varietà, si può estrarre un colorante rosso utile per usi alimentari. E' un'ottima pianta da rinnovo ed è perfetta per essere coltivata nei terreni poveri e poco fertili, visto che non necessità di grandi apporti nutrizionali. Tollera bene la siccità e per cui non ha bisogno di grande quantità d'acqua (nelle nostre attività di sperimentazione è stata coltivata in asciutta). Va seminata ad aprile ed il suo ciclo è primaverile-estivo.
Un primo aspetto critico può essere infatti dato dalle basse temperature in fase di semina: ha bisogno di almeno 8-10 °C nei primi 5-6 cm di terreno. Inoltre il letto di semina deve essere ben lavorato in modo tale che il seme molto piccolo dell'amaranto possa ben aderire alla struttura del terreno. Infine il seme dell'amaranto (così come avviene per il mais) tende a rimanere umido anche arrivato a piena maturazione, rendendo necessaria l'essicazione dei semi dopo la raccolta con essicatori adatti"
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In base all'attività effettuata dall'Unifi la resa dell'amaranto è di circa 1,2-1,5 tonnellate/ettaro per un prezzo di circa 1.800 euro/tonnellata per un prodotto biologico e con costi di produzione di circa 900 euro/ettaro. "In linea generale non ha bisogno di grandi concimazioni - conclude Casini -: al massimo 60-70 kg di azoto per ettaro all'anno e 80-100 kg di fosforo per ettaro. Viene seminata a file con una densità di circa 35-50 piante/m2. Il diserbo, soprattutto nella parte iniziale del ciclo vegetativo è importante, anche se ad oggi non esistono prodotti registrati su amaranto: buoni risultati con il diserbo meccanico effettuato con sarchiatrice, erpice e finger weeder. Al momento non risultano patogeni particolarmente dannosi: qualche attacco, ma sporadico, da parte di afide nero e cimici".
 
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Autore: Lorenzo Cricca

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