Coltivare il riso in maniera intensiva e sostenibile si può

Tra passato e futuro, tra criticità e pratiche ottimali per la coltivazione del riso. Ne parla il professore Aldo Ferrero dell'Università degli Studi di Torino

Coltivare il riso in maniera intensiva e sostenibile si può - Plantgest news sulle varietà di piante

La risicoltura deve basarsi sulla combinazione di tutte le tecnologie moderne per ottenere produzioni elevate salvaguardando la qualità, la sicurezza sanitaria e ambientale (Foto di archivio)

Fonte immagine: © coco - Fotolia

Il riso è il secondo cereale più coltivato al mondo, si producono circa 755 milioni di tonnellate all'anno grazie ad una superficie coltivata di 162 milioni di ettari (Faostat, 2021). Per l'Italia è una coltura importantissima visto che il 50% del riso europeo è italiano ed è una delle poche colture per le quali abbiamo la totale autosufficienza alimentare.

 

Storicamente la risicoltura si è diffusa nelle aree dove esisteva una buona dotazione idrica naturale, che in seguito è stata migliorata attraverso la realizzazione di una rete di canali per la distribuzione uniforme e regolare. In Italia nel 2021 sono coltivati oltre 227mila ettari a riso, coltivati per circa il 90% in 4 province del Piemonte e della Lombardia: Vercelli, Novara, Pavia e Milano. Una parte della superficie coltivata (8-9%) si trova in Emilia Romagna, nel ferrarese, e una ancora più piccola in Sardegna, in provincia di Oristano, essenzialmente dedicata alla produzione di seme. Il tutto per un totale di circa 3.800 aziende e una produzione di circa 1.500.000 tonnellate di risone, corrispondenti a 1.040.000 tonnellate di riso lavorato (Enterisi, 2020).

 

Il professore Aldo Ferrero, dell'Università degli Studi di Torino, ha recentemente pubblicato un libro interamente dedicato alla coltura del riso. In questo articolo spiega che cosa si intende e come funziona la risicoltura intensiva sostenibile e perché va presa in considerazione soprattutto in vista dei recenti scenari politici, economici e ambientali.

 

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Come si coltiva oggi il riso?

Il riso è seminato in primavera (tra aprile e maggio) e raccolto in tarda estate e autunno (tra fine settembre e fine ottobre). Per svilupparsi necessita di temperature comprese tra i 10 e i 33 gradi Celsius. In primavera, temperature al di sotto della soglia minima tollerata possono compromettere le fasi iniziali della coltura; ed è qui che entra in gioco l'acqua. Questa ha due funzioni principali, quella di soddisfare le esigenze fisiologiche della coltura e quella di termoregolazione.

 

La semina del riso, infatti, può essere effettuata su terreno sommerso o asciutto. Nel mondo prevale la tecnica della sommersione (75%) che porta con sé diversi vantaggi agronomici. In primis mitiga gli effetti sfavorevoli delle escursioni termiche, soprattutto tra il giorno e la notte e degli abbassamenti di temperatura nelle fasi delicate dello sviluppo degli organi fiorali, secondariamente limita la crescita delle piante infestanti. La semina su terreno sommerso è caratterizzata dalla distribuzione a spaglio con attrezzature spandigranuli e prevede l'alternanza di periodi di asciutta, per effettuare alcune operazioni colturali, quali la distribuzione dei fertilizzanti e l'applicazione dei prodotti per la difesa (soprattutto diserbanti). A seconda della natura dei terreni, durante l'intera stagione colturale, vengono utilizzati da 18mila (terreni compatti, argillosi) a 40mila metri cubi di acqua ad ettaro (terreni molto sabbiosi).

 

Va però considerato che oltre il 70% del volume di acqua utilizzato in una risaia è solo temporaneamente trattenuto ed è, poi, restituito al sistema idrico territoriale, dopo essere stata riutilizzata fino a 3 volte per l'irrigazione di altre risaie poste a valle e per la produzione di energia. Anche l'acqua che percola nel terreno non viene sciupata, ma va ad aumentare il livello delle falde e ad alimentare le risorgive.

 

Su terreno asciutto, invece, il riso viene seminato a file come gli altri cereali e dopo circa 20-30 giorni, quando le giovani piante hanno emesso le prime 2-3 foglioline, viene sommerso, come quello seminato in acqua,  per fornire la necessaria protezione termica.

 

"La semina in asciutta ha iniziato a diffondersi a partire dagli anni '90 del secolo scorso, soprattutto negli areali con una minore disponibilità idrica, per poi espandersi in tutto il territorio, risicolo. Con il tempo la tecnica della semina in asciutta si è diffusa sempre di più, sia per la riduzione della disponibilità idrica, come nella stagione attuale, sia per la semplificazione dell'operazione di semina", dice il professore Aldo Ferrero.

 

Oggi la superficie coltivata a riso in Italia è seminata per circa il 55% in asciutta e la restante parte su terreno sommerso. La semina in asciutta è una pratica che attrae sempre di più i risicoltori. Per Ferrero un'ulteriore diffusione di questa pratica non è assolutamente auspicabile: "Nel caso dovesse ancora ridursi la superficie a riso seminata in acqua, si creerebbero dei picchi di richiesta idrica, determinati dall'esigenza di sommergere le risaie seminate in asciutta e irrigare altre colture, che sarebbe difficile poter soddisfare diversamente. L'irrigazione nelle aree più a valle del territorio risicolo è favorita dalla disponibilità idrica fornita dalle risorgive e dalla rete irrigua, alimentate rispettivamente dall'acqua infiltrata e da quella rilasciata dalle risaie più a monte, seminate su terreno sommerso. Un equilibrato rapporto tra la superficie seminata in asciutta e quella in sommersione, costituisce una garanzia per il mantenimento della disponibilità di acqua, quando questa è richiesta in maggiore quantità".

 

 

Criticità attuali della produzione risicola

Secondo l'Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) all'agricoltura viene attribuito circa il 50% delle emissioni di gas climalteranti e solo alla risicoltura dal 5 al 19% di quelle totali di metano. La sommersione del terreno, infatti, produce metano durante i processi di degradazione della sostanza organica presente nel terreno, che si verificano in condizioni di asfissia.

 

Inoltre, il riso è comunemente coltivato in monosuccessione perché il livellamento del terreno e la realizzazione degli argini necessari per la coltivazioni del riso sono operazioni molto impegnative e costose e se si riesce a mantenere la sistemazione nel tempo è chiaro che si rende più efficiente l'organizzazione del lavoro. La monosuccessione favorisce, però, la diffusione delle avversità e, in particolare, delle piante infestanti nella coltura: "L'assenza di alternanza dei cicli colturali tende ad esercitare una pressione selettiva sulle malerbe, favorendo quelle più competitive e maggiormente adattabili all'ambiente acquatico", sottolinea il professore. In queste condizioni, la diminuzione dei diserbanti disponibili sul mercato e l'utilizzo ripetuto degli stessi, molti dei quali hanno lo stesso meccanismo d'azione, ha favorito la diffusione della resistenza delle malerbe agli erbicidi rendendo ancora più complesso il problema della loro gestione.

 

A queste criticità se ne aggiungono altre più attuali: il cambiamento climatico che limita la disponibilità idrica, a causa dell'andamento climatico caldo e siccitoso e il forte aumento dei costi di produzione (energia elettrica, carburanti, fertilizzanti) legato alla ripresa economica post pandemia e alla situazione bellica russo ucraina.
 

 

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La risicoltura intensiva sostenibile

La risposta di Aldo Ferrero a queste criticità è un elenco di interventi a suo avviso indispensabili per salvaguardare la coltivazione del riso in Italia oggi.

  • Contenere la dipendenza energetica, ad esempio attraverso un sostegno all'installazione di pannelli fotovoltaici e l'approvvigionamento dei fertilizzanti da altri paesi, favorendo il ricorso alle colture intercalari da sovescio, il recupero di prodotti e rifiuti organici agroindustriali e urbani;
  • realizzare invasi e bacini per assicurare la disponibilità idrica anche nei periodi di minor frequenza delle precipitazioni e sfavorire l'espansione della semina su terreno asciutto per garantire un adeguato equilibrio tra le acque di superficie e quelle sottosuperficiali e garantire, quando serve, un'abbondante disponibilità idrica anche per altre colture (ad esempio il mais);
  • sostenere la diffusione della innovazione tecnologica 4.0, per ridurre ed ottimizzare l'impiego dei mezzi di produzione come fertilizzanti e prodotti fitosanitari;
  • rivedere gli obiettivi e le misure della strategia Farm to Fork per non peggiorare la dipendenza degli approvvigionamenti da paesi terzi, senza ottenere un corrispondente miglioramento della sostenibilità ambientale;
  • favorire l'introduzione di varietà ibride, con un più elevato potenziale produttivo e, più in generale, l'applicazione delle moderne tecniche genetiche, per favorire l'introduzione di varietà con migliori caratteristiche qualitative e produttive, con una maggiore tolleranza alle avversità biotiche e agli stress ambientali;
  • limitare la contaminazione delle acque da parte di prodotti utilizzati per la difesa, aumentare la biodiversità e ridurre le emissioni di gas ad effetto serra.


Questa serie di interventi dovrebbe essere finalizzata allo sviluppo di una risicoltura intensiva sostenibile, cioè di una risicoltura basata sulla combinazione ottimizzata di tutte le tecnologie moderne e volta all'ottenimento di produzioni elevate e alla salvaguardia della qualità, della sicurezza sanitaria e ambientale. Il professore parla di impegno etico per: "Aumentare le produzioni garantendo la sicurezza alimentare e sanitaria e salvaguardando la redditività, nel rispetto dell’ambiente", e così continua: "Abbiamo le conoscenze e gli strumenti per raggiungere questi obiettivi".

 

Pratiche ottimali…

…di difesa sostenibile

Per migliorare e ridurre l'impatto sulla qualità delle acque a seguito dell'uso dei prodotti per la difesa si può, ad esempio, intervenire sulla modalità di gestione dell'acqua. Ce lo spiega Ferrero: "Un ritardo di alcuni giorni nella ripresa della circolazione dell'acqua, dopo un intervento di diserbo nella risaia sgrondata, favorisce la degradazione dei prodotti impiegati all'interno dell'area trattata, riducendo il rischio di trasporto dei loro residui nel sistema della rete irrigua".


Nella gestione delle malerbe, il diserbo chimico dovrebbe essere associato, ove possibile, all'applicazione di strumenti agronomici integrativi, come, ad esempio, la pacciamatura verde. È una pratica comunemente usata in agricoltura biologica che prevede la semina in autunno di una coltura di copertura, da interrare durante la preparazione del terreno, prima della semina del riso. Con questa pratica oltre a contenere lo sviluppo delle malerbe nella coltura si migliora anche lo stato nutrizionale del terreno; possono essere utilizzate a questo scopo la veccia, la segale, il loietto o miscugli di queste specie.

 

Altrettanto utile è anche la sommersione invernale dei terreni della risaia per ridurre significativamente le emergenze di malerbe durante la coltivazione del cereale e favorire la diffusione degli uccelli acquatici.


Per il controllo delle malattie, in particolare del brusone, oltre ad adottare corrette pratiche agronomiche, riguardanti ad esempio la densità di semina, la gestione dell'acqua e la concimazione, è importante fare ricorso a varietà in grado di tollerare questa avversità. Infatti: "Sono già attualmente disponibili varietà dotate di eccellenti caratteristiche produttive e qualitative che non richiedono alcun trattamento di protezione contro il brusone".

 
…per la salvaguardia della biodiversità

L'adozione di appropriate tecniche colturali può consentire la creazione di aree favorevoli allo sviluppo della biodiversità animale e vegetale. "È ampiamente dimostrato che l'applicazione di pratiche quali la sommersione invernale, l'inerbimento controllato degli argini delle risaie e dei corsi d'acqua e il mantenimento permanente dell'acqua in almeno una parte dei fossi ha un'importante influenza favorevole sulla differenziazione della flora e della fauna dell'ambiente risicolo", sostiene Ferrero. Per esempio, la falciatura a bassa frequenza o con interventi a rotazione può rappresentare una soluzione sostenibile: uno sfalcio ritardato verso la fine dell'estate limita l'impatto sfavorevole sugli artropodi e sulla nidificazione degli uccelli.

 
…per ridurre le emissioni di gas serra

La mitigazione delle emissioni di gas serra dalle risaie è fondamentale per ridurre al minimo l'impatto della coltivazione del riso sul riscaldamento globale. "I gas serra che sono maggiormente in gioco nel caso del riso sono il metano e il protossido di azoto, la cui formazione è legata a condizioni ambientali molto diverse", dice il professore e continua: "La sommersione crea uno stato di asfissia nel suolo favorevole alla formazione del metano; al contrario, l'asciutta determina l'emissione di protossido di azoto. Quest'ultimo è comunemente prodotto in quantità inferiore a quella del metano, ma ha un potere di riscaldamento circa 12 volte superiore".

 

Ci sono diverse tecniche agronomiche in grado di ridurre la produzione di metano nelle risaie e il professore ci parla di alcuni studi che ne provano l'efficacia.

 

La gestione irrigua può influenzare la produzione di metano. Uno studio condotto dall'Università degli Studi di Milano ha permesso di quantificare i benefici ambientali legati all'adozione di una gestione idrica alternativa caratterizzata da un ulteriore periodo di aerazione durante la levata. In questo modo è stato dimostrato che si possono ridurre le emissioni di metano (dal 15 al 52%) e di conseguenza anche l'impatto del cambiamento climatico (dal 12% al 32%). Questa gestione però non influisce sulla resa in granella purché durante la fioritura il livello dell'acqua sia mantenuto sufficientemente alto da proteggere le spighette dall'aria fredda.


Un altro studio, condotto dall'Università degli Studi di Torino, ha dimostrato l'impatto positivo della rimozione della paglia da riso nella mitigazione del metano. Una volta rimossa e raccolta, infatti, può essere utilizzata per la produzione di compost o biochar e successivamente il ritorno del digestato alla risaia, da cui era stata precedentemente rimossa, contribuisce a preservare il contenuto di carbonio nel suolo. Nello studio i terreni senza interramento delle paglie hanno fatto registrare emissioni medie del 38% inferiori a quelle dei suoli con interramento. I risultati ottenuti hanno evidenziato, anche, un effetto dannoso dell'interramento della paglia poco prima della semina del riso e della sommersione della risaia, con rese di granella inferiori e maggiori emissioni di metano.

 

…per ottenere riso a residuo zero

Il professore ci tiene a sottolineare che tutte queste pratiche per la difesa sostenibile e per la salvaguardia della biodiversità permettono anche di ottenere un riso a residuo zero. "Premesso che i livelli dei residui degli agrofarmaci nel riso comunemente prodotto nel nostro Paese soddisfano pienamente i severi standard di sicurezza stabiliti dalle autorità sanitarie europee e nazionali, l'adozione delle diverse pratiche gestionali in precedenza richiamate consentono anche di sviluppare una filiera produttiva a 'residuo zero', finalizzata alla produzione di riso con gli stessi livelli massimi di residui di prodotti fitosanitari stabiliti per le produzioni biologiche (0,01 ppm), mantenendo elevate le rese produttive e contenendo significativamente gli effetti sull'ambiente

 

La ricerca ha dimostrato che il riso a residuo zero può facilmente essere ottenuto, mediante una gestione colturale in grado di contenere lo sviluppo delle malerbe, con l'impiego di erbicidi poco persistenti e, soprattutto, ricorrendo alla semina di varietà che, come già osservato in precedenza, non richiedono l'utilizzazione di fungicidi per la protezione dalle malattie fungine".

 

Uno sguardo al futuro: l'impatto della Farm to Fork e del Green Deal

Il piano strategico del Green Deal della Commissione Europea mira a raggiungere la neutralità climatica dell'Unione europea entro il 2050. Nell'ambito di questo piano, la strategia Farm to Fork e la Strategia per la Biodiversità saranno accompagnate da una nuova politica agricola comune (Pac dopo il 2020).

 

"Il Farm to Fork richiede, dal mio punto di vista, un ripensamento, soprattutto alla luce della situazione attuale e delle prospettive future. Le criticità negli approvvigionamenti alimentari, che stiamo affrontando, potrebbero ripresentarsi nel tempo ed anche acuirsi alla luce del progressivo incremento della popolazione mondiale", afferma il professore e continua: "Il dimezzamento dell'impiego dei prodotti fitosanitari da raggiungere in meno di una decina di anni, avrà, come da più parti osservato, un significativo impatto negativo sulle produzioni. Occorre del tempo alla ricerca di individuare degli strumenti alternativi validi all'uso dei prodotti fitosanitari. In relazione a questo aspetto va anche ricordato che nel nostro Paese da circa una ventina di anni è in atto una riduzione dell'utilizzo dei prodotti per la difesa pari a circa 2mila tonnellate all'anno, riguardante soprattutto le sostanze più pericolose".

 

Il professore propone come spunto di riflessione le analisi fatte dal Joint Research Centre (Jrc) della Commissione Europea (Barreiro-Hurle et al., 2021), dall'United States Department of Agriculture (Usda), (Beckman et al., 2020) e recentemente anche dall'Università di Wageningen (Bremmer et al., 2021). Questi studi hanno valutato l'impatto economico ambientale e sulla sicurezza alimentare delle politiche Ue.


Le analisi convergono nell'affermare che l'applicazione delle strategie Farm to Fork e per la Biodiversità comporterà un aumento dei costi di produzione e dei prezzi al consumo dei prodotti agricoli e una diminuzione della redditività nonché una riduzione della produzione, con una conseguente perdita di quote di mercato interno da parte dei produttori europei rispetto a quelli di altri paesi.


In queste condizioni, le minori emissioni di inquinanti e di gas serra saranno compensate da un aumento delle emissioni in altre aree del mondo, nelle quali verranno delocalizzate le produzioni agricole che l'Europa non sarà più in grado di produrre.

 

Inoltre, ci spiega Ferrero: "In generale, la riduzione della produzione di una coltura è legata allo sviluppo di una minore biomassa, con conseguente minore attività fotosintetica e minore assorbimento di CO2". Per questo anche la sostenibilità ambientale a livello europeo viene messa in discussione.

 

Scarica il libro "Oryza" di Aldo Ferrero e Alberto Girotto al seguente link.

Autore: Vittoriana Lasorella

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