Agricoltura naturale coreana: guida all'autoproduzione dei microrganismi indigeni

Si chiama Imo ed è una coltura microbica estremamente varia. È adatta alle condizioni locali, è capace di stimolare la nutrizione e la crescita delle piante, aumenta la resilienza delle colture e rigenera il suolo

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Si tratta di una coltura di microrganismi autoctoni - batteri, funghi, nematodi, protozoi e altri - raccolti direttamente dal suolo locale, moltiplicati e poi reintrodotti per rigenerare il terreno (Foto di archivio)

Fonte immagine: © Madelaine - Adobe Stock

Se vogliamo un suolo vivo e fertile, dobbiamo pensare a chi lo abita. Miliardi di microrganismi invisibili, ma fondamentali, vivono in simbiosi con le radici delle piante e contribuiscono a nutrirle, proteggerle e renderle più forti contro stress e malattie.

 

Le pratiche di agricoltura naturale coreana si concentrano proprio su questo aspetto e lavorano per promuovere la presenza di una grande biodiversità di microrganismi nel suolo.

Leggi anche: Mai sentito parlare dell'agricoltura naturale coreana?

Sempre più agricoltori in Italia sono interessati all'agricoltura naturale coreana (Knf, korean natural farming). In Puglia, per esempio, Enzo Notaristefano utilizza i preparati dell'agricoltura naturale coreana per riportare in salute agrumi e ulivi, riducendo drasticamente gli input esterni; in Toscana, invece, Lorenzo Costa mette in pratica la Knf per sostenere la produttività della sua azienda gestita in permacultura.


Si tratta di soluzioni utili soprattutto per quei terreni che sono stati intensamente lavorati per anni e impoveriti, la cui microbiologia è squilibrata o fortemente ridotta. Con il tempo la natura tenderà a ristabilire l'equilibrio, ma i preparati della Knf possono velocizzare i tempi.


In questo articolo ci concentriamo su uno dei preparati più importanti del metodo ideato dall'agronomo coreano Han Kyu Cho: l'Imo, acronimo di indigenous microorganisms. Si tratta di una coltura di microrganismi autoctoni - batteri, funghi, nematodi, protozoi e altri - raccolti direttamente dal suolo locale, moltiplicati e poi reintrodotti per rigenerare il terreno.


Ne abbiamo parlato con Elisa Valoroso, studiosa del lavoro di Han Kyu Cho, che da anni sperimenta e documenta i preparati dell'agricoltura naturale coreana in 2 ettari di orto e frutteto.

 

Che cos'è l'Imo e perché è utile in agricoltura?

L'Imo è il preparato alla base dell'agricoltura naturale coreana. È fondamentale per ricreare nel terreno la soil food weeb, quella rete di organismi che vivono nel suolo e interagiscono tra loro scambiandosi energia e nutrienti. Si tratta di tutti quei microrganismi che decompongono la sostanza organica e rendono i nutrienti disponibili per le piante, riducendo la necessità di utilizzare fertilizzanti di sintesi.

 

"L'Imo è una coltura di microrganismi indigeni - spiega Elisa - cioè originari del proprio terreno, che vengono raccolti, moltiplicati e reintrodotti nel suolo. Non bisogna preoccuparsi di che tipo di microrganismi si raccolgono, se benefici o cattivi. Si predilige comunque l'80% di microrganismi aerobici, che generalmente sono benefici, e il 20% di quelli anaerobici. Ad ogni modo, servono tutti perché solo insieme possono ripristinare un equilibrio sano".

 

Come si produce l'Imo

Il processo di produzione dell'Imo si divide in 4 fasi: "Con la prima fase si raccolgono i microrganismi, nella seconda si stabilizza la coltura microbica, nella terza si fanno moltiplicare e nell'ultimo passaggio i microrganismi vanno fatti ambientare con quelli del proprio terreno. Alla fine si ottiene una coltura veramente forte, che è subito in grado di insediarsi stabilmente nel suolo", racconta Elisa.


I microrganismi indigeni possono essere raccolti in qualsiasi periodo dell'anno; servono pochissimi ingredienti e strumenti che sono alla portata di tutti: "Tra i materiali da comprare ci sono solo il riso, lo zucchero di canna e la crusca di grano. In Corea del Sud si utilizza la crusca di riso perché è la coltura più abbondante, qui si può sostituire con quella di grano".


Come strumenti serviranno barattoli di vetro o terracotta, imbuti per filtrare e travasare le soluzioni, contenitori di plastica per mescolare i vari ingredienti, teli o garze per filtrare, colini di acciaio, tovaglioli di carta o stoffa per coprire i barattoli durante la fermentazione e molle o lacci per fissare la stoffa.

 

Entriamo nel dettaglio delle varie fasi.

 

Imo 1: raccolta dei microrganismi

Per questa fase serve una scatola di legno naturale, costituita alla base da due assi leggermente separate, o ancora meglio un cestino intrecciato. Le fessure permetteranno la circolazione dell'aria e la penetrazione dei microrganismi.


Per attirare i microrganismi bisogna fornirgli del cibo. In questa fase si utilizza del riso che - dopo essere stato lavato, cotto e fatto raffreddare - va posizionato nella scatola riempiendone i 2/3.

 

La scatola viene coperta prima con un tovagliolo di carta o un pezzo di stoffa, fissato con un elastico, e successivamente con un coperchio in rete metallica per evitare l'ingresso di animali più grandi, come i topi. Quando è pronta, può essere posizionata nel luogo di raccolta dei microrganismi indigeni.


A questo proposito Elisa spiega che: "La raccolta dei microrganismi indigeni va fatta in una zona a 150-200 metri di altitudine maggiore rispetto al proprio terreno, in un'area quanto più incontaminata possibile, preferibilmente un bosco". Si fa una buca nel terreno e si seppellisce la scatola, coprendola con foglie e altro materiale organico in decomposizione. È importante coprirla dalla pioggia attraverso, per esempio, un telo di plastica.


Il tempo necessario per la cattura dei microrganismi varia a seconda del clima: in primavera e in autunno ci vorranno dai 7 ai 10 giorni, in estate il tempo si può ridurre a 4 giorni e in inverno si allungherà a più di 10. Dopo la scatola potrà essere rimossa per passare alla fase successiva.


Una raccolta riuscita di microrganismi è coperta da una nuvola filamentosa bianca, con poche macchie rosse e blu. I filamenti bianchi indicano la presenza di microrganismi aerobici; le macchie rosse e blu rappresentano i microrganismi anaerobici che si trovano soprattutto sul fondo, dove c'è più umidità. Come accennato prima, l'equilibrio è dato dall'80% di microrganismi aerobici e dal 20% di anaerobici.

 

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Imo 1 

(Fonte: Elisa Valoroso)

 

Imo 2: conservazione della coltura

L'obiettivo di questa fase è quello di stabilizzare la coltura e porre in uno stato di dormienza i microrganismi.

 

Si rimuove l'Imo 1 dalla scatola, si pesa e in una ciotola si unisce alla stessa quantità in peso di zucchero di canna integrale. Si mescola delicatamente e con il composto si riempie un contenitore in vetro o terracotta per 2/3. Si copre con un tovagliolo e si lascia fermentare per 7 giorni in un luogo ben ventilato, lontano dai raggi diretti del sole e ad una temperatura ottimale di circa 23-25 °C.

 

È consigliabile non sostituire lo zucchero di canna con quello bianco, la melassa o il miele. Lo zucchero di canna, infatti, estrae solo i nutrienti, come vitamine e microelementi, evitando di impoverire il prodotto finale. Si lega così alle molecole d'acqua, intrappolandole e sottraendole ai microrganismi che in questo modo andranno in dormienza.


Al termine della fermentazione, il contenitore va chiuso e riposto in frigorifero. In questo modo si può conservare per oltre un anno.

 

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Imo 2

(Fonte: Elisa Valoroso)

 

Imo 3: moltiplicazione dei microrganismi

Per far moltiplicare i microrganismi bisogna fornirgli acqua e cibo.

 

Per questa fase si parte versando una pila di crusca di grano direttamente sul terreno. Dopo di che, Elisa spiega che: "vanno prepari dei secchi d'acqua. All'interno, in un rapporto di 1:500 o 1:1000, si diluisce l'Imo 2. Ciò significa che per ogni 10 litri d'acqua servono 10-20 grammi di Imo2, veramente poco".

 

A questo punto nell'acqua si diluiscono anche l'aceto di riso e altri preparati: l'Ohn (oriental herbal nutrient cioè nutrienti erboristici orientali) è un fermentato a base di zenzero, liquirizia, aglio, angelica e cannella a cui si aggiunge zucchero di canna e alcol; Fpj (fermented plant juice cioè succo di piante fermentate) è un fertilizzante naturale preparato con erbacce e frutti imperfetti. 

 

"Quindi si fa questa miscela di Imo 2, acqua e preparati che man mano viene incorporata nella pila di crusca, finché non si raggiunge il 65-70% di umidità; troppa umidità può avvantaggiare i microrganismi anaerobici mentre, troppo poca, non attiverà nessun microrganismo.

 

Perciò, l'Imo 2 ha una grande resa: se ne usa pochissimo e con la quantità preparata nella seconda fase si possono fare più cumuli di Imo 3", spiega Elisa Valoroso.

 

Il prodotto finale sarà una pila alta circa 30-40 centimetri. Tutto viene poi coperto con paglia o lettiera di foglie per prevenire l'evaporazione dell'umidità e fornire una protezione dai raggi diretti del sole.

 

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Imo 3

(Fonte: Elisa Valoroso)


Con la fermentazione, la temperatura all'interno della miscela di crusca aumenterà soprattutto al centro della pila. Per prevenire che i microrganismi al centro muoiano a causa delle alte temperature, il calore deve essere distribuito su tutta la pila girandola e rivoltando per bene il centro. Questo processo va fatto più volte ogni giorno, a seconda delle condizioni climatiche del luogo, monitorando la temperatura con un termometro affinché non superi i 40-50 °C.

 

Anche per questa fase ci vogliono circa 7 giorni. Se tutto è andato bene dopo una settimana la crusca di grano, che si è trasformata in un agglomerato solido di microrganismi, è tutta bianca per via dei microrganismi aerobici.


L'Imo 3 può essere conservato in sacchi di paglia, iuta o stoffa che permettono una buona aerazione, in un luogo ventilato, ombreggiato e fresco al riparo dalla luce diretta del sole e dalla pioggia.

 

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Imo 3 e controllo della temperatura

(Fonte: Elisa Valoroso)

 

Imo 4: adattamento al terreno

Han Kyu Cho inizialmente applicava l'Imo 3 direttamente nel terreno. In realtà, in pieno campo i microrganismi facevano fatica a superare la competizione con quelli già presenti, così decise di inserire una fase in più nel processo di autoproduzione dei microrganismi indigeni.

 

In questa fase si aggiunge all'Imo 3 il terreno del proprio campo, con l'obiettivo di far ambientare i microrganismi indigeni con quelli autoctoni e facilitare così la loro successiva colonizzazione.

 

Il processo è identico a quello dell'Imo 3, solo che questa volta alla pila va aggiunta una stessa quantità di terra. Il terreno e l'Imo 3 vanno mischiati insieme e poi va aggiunta dell'acqua per riportare il livello di umidità al 65-70%.


Anche l'Imo 4 si può conservare per anni, ma se si consiglia di utilizzarlo entro 1 anno.


Per entrare ancora di più nel dettaglio dei vari passaggi, vi consigliamo la lettura dell'articolo scientifico del College of Tropical Agriculture and Human Reseources, University of Hawaii at Manoa.

 

Quando e come si utilizza l'Imo in campo

L'Imo 4 si può usare così com'è, sparpagliandolo sulla superficie del suolo alla dose consigliata di circa 150 chili ad ettaro; è molto utile prima della semina o del trapianto.

 

"Si può fare anche una versione liquida dell'Imo 4. Si fa come il compost tea, mettendo il composto in un bidone con dell'acqua e una pompa che permette l'arieggiamento. È uno stratagemma per spruzzarlo direttamente sulle piante e sul terreno", spiega Elisa Valoroso.


L'Imo si può somministrare anche diverse volte durante l'anno ma, come afferma Elisa: "dopo 3-5 anni non ce ne sarà più bisogno, perché i microrganismi si saranno ormai insediati".


Per aumentare l'efficacia, Han Kyu Cho consiglia di combinare l'Imo con gli altri preparati della Knf. "Tutti i preparati dell'agricoltura naturale coreana sono interconnessi tra di loro - racconta Elisa - e la reale efficacia sta nella loro sinergia. Per esempio, l'Ohn aiuta le piante nell'assimilazione dei nutrienti. Fpj serve per dare soprattutto gli ormoni della crescita. Ci sono tante altre miscele specifiche per altri trattamenti".

 

Per conoscere tutti i fermentati descritti da Han Kyu Cho vi invitiamo a consultare il libro "Natural Farming Agriculture Materials" di Han Kyu Cho e Cho Ju Young.


Nell'orto o nel frutteto, questo approccio microbiologico diventa ancora più efficace se accompagnato da pratiche agroecologiche come la pacciamatura. "Noi lasciamo il terreno inerbito anche sotto gli alberi e poi sfalciamo al momento della raccolta - afferma Elisa - Finora ho mischiato la pacciamatura di erbe spontanee sfalciate con gli scarti del castagno che mi fornisce la segheria vicino casa. Mi piacerebbe però utilizzare solo le piante spontanee a cui aggiungere gli sfalci di colture come segale, avena e mais".

 

A cosa stare attenti quando si produce l'Imo

La preparazione dell'Imo richiede attenzione e pazienza soprattutto per quanto riguarda il controllo della temperatura.

 

"Il problema della fase Imo 1 è l'umidità e la temperatura esterna. Se il terreno è troppo umido o piove, viene stimolato lo sviluppo dei microrganismi anaerobici; non si vede la classica nuvola bianca e la raccolta è da scartare. Per evitare questi problemi, oltre a coprire la scatola con un telo, si possono fare diverse raccolte nello stesso punto. Si usano varie scatole o cestini, quello che vuoi utilizzare per la coltivazione degli Imo non lo disturbi, mentre gli altri li puoi usare come controllo", spiega Elisa.

 

Nelle fasi Imo 3 e Imo 4 la pila fermentante non deve mai superare i 50 °C. Superata quella soglia, infatti, si rischia lo sviluppo di ammoniaca e la dominanza di pochi ceppi batterici, a scapito della biodiversità microbica che si vuole ottenere.


Per evitare problemi, è bene dotarsi di termometri e controllare la pila più volte al giorno. Ma come si fa la notte? Questo, infatti, è il momento più critico: il calore si accumula e al mattino ci si può ritrovare con una pila che ha superato i limiti. "In questo caso - racconta Elisa - uno stratagemma può essere quello di abbassare l'altezza della pila così che la temperatura la notte salga più lentamente; la mattina dopo si riporta la pila all'altezza di 40 centimetri".


In generale la fermentazione è andata bene se l'odore ricorda quello del bosco o del pane appena sfornato e non di ammoniaca, e se c'è la presenza di colonie bianche e di una struttura grumosa.

 

I vantaggi dell'Imo

Con i preparati dell'agricoltura naturale coreana si ottengono fertilizzanti naturali capaci di ridurre la dipendenza da input esterni e di migliorare la salute del suolo. Inoltre, tutto è fatto in casa, con un evidente abbattimento dei costi.


Elisa racconta la sua esperienza: "Con l'Imo permetti alle piante di esercitare il loro vero potenziale: hai raccolti abbondanti, sani e di qualità. Riduci e abbatti i costi di produzione e non lavori più il terreno.

L'obiettivo è quello di ricreare i meccanismi della natura: il terreno è naturalmente lavorato dai lombrichi e dai piccoli animali; le piante non vengono fertilizzate dall'esterno, ma utilizzano la simbiosi con i microrganismi. Con l'agricoltura naturale coreana si rendono le piante di nuovo autonome.

 

Nel nostro campo, da quando utilizziamo i preparati dell'agricoltura naturale coreana, abbiamo una crescita esplosiva delle piante. I raccolti sono abbondanti. A volte anche troppo, tanto che alcuni rami dei nostri cachi l'anno scorso, per la sovrapproduzione, si sono piegati e rotti".


Qual è la differenza tra l'Imo e le colture microbiche commerciali?

Con l'Imo si raccolgono tutti i microrganismi esistenti nel proprio ambiente, il cui grande vantaggio è quello di essere già adattati alle condizioni locali: sono già abituati al clima, al suolo e alle avversità del luogo. Per questo motivo, quando vengono reintrodotti vincono subito la competizione con quelli già presenti. Con gli inoculi commerciali, invece, questa integrazione è più difficile. "Come afferma Han Kyu Cho, l'Imo è la migliore coltura microbica per il nostro terreno. Non sto affermando che gli inoculi commerciali non funzionino, ma l'Imo ha decisamente una marcia in più".


Han Kyu Cho non si è occupato solo di agricoltura ma anche di allevamento: "Con l'agricoltura naturale coreana non si fa uso di compost e letame perché non c'è l'esigenza di smaltirlo. I microrganismi indigeni, infatti, sono utilizzati anche negli allevamenti animali per tenere puliti i letti insieme a carbone e scarti verdi. In questo modo non ci sono rifiuti da smaltire perché vengono compostati velocemente in loco. Gli animali si trovano in un ambiente sano, dove non c'è cattivo odore, non ci sono mosche e si riduce la carica di microrganismi patogeni", conclude Elisa Valoroso.

Autore: Vittoriana Lasorella

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