Aziende in transizione: agroforestazione in vigneto (quarta parte)
Rigenerare il suolo e adattare le varietà locali al clima che cambia. In Puglia c'è un'agroforesta sintropica intensiva con 20mila piante; una scelta produttiva e commerciale per la produzione e la vendita di vini naturali
Un consorzio vegetale presente nell'agroforesta di Morasinsi è composto da fillirea (tappezzante), rosmarino, lantana e ginestra (arbustive/aromatiche), vite (principale), finto pepe (emergente)
Fonte immagine: © Agronotizie
Avete mai visto un'agroforesta in vigneto? Certo non è molto comune, ma i vantaggi possono essere molti: agronomici, economici e - non ultimi - ambientali.
Noi ne abbiamo visitata una in Puglia, durante il press tour sull'agricoltura rigenerativa organizzato da Eit Food nel settembre 2025.
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Si chiama Morasinsi ed è un'azienda vitivinicola di Minervino Murgie (Bt) cofondata nel 2018 da Sveva Sernia. L'azienda è composta da vigneti che sono stati coltivati per oltre 20 anni con metodi convenzionali, ma oggi è impegnata nella sperimentazione di nuove pratiche. In questo articolo, Sveva Sernia racconta cosa l'ha spinta - un anno e mezzo fa - a piantare ben 20mila nuove piante in 15 filari: tappezzanti, arbustive, aromatiche, azotofissatrici e alberi emergenti. Un sistema agroforestale, nato per essere testato e, col tempo, esteso all'intero territorio aziendale, che ha l'obiettivo di valorizzare le varietà locali di uva da vino esposte agli effetti del cambiamento climatico.
"Quello che stiamo facendo a Morasinsi è l'adattamento climatico delle varietà locali per la produzione di vini di terroir. Le soluzioni che adottiamo sono soluzioni basate sulla natura, come l'agroforestazione", afferma Sveva.

Sveva Sernia, cofondatrice di Morasinsi
(Fonte: AgroNotizie®)
Perché fare un'agroforesta in vigneto? La tutela delle varietà locali e la sfida climatica
Per raccontare come è nata l'idea dell'agroforesta bisogna partire dal contesto agricolo, locale e viticolo dell'Alta Murgia.
"Murasinsi nasce nel 2018 come progetto vitivinicolo su vigneti preesistenti - spiega Sveva - Questi vigneti non erano di varietà locali, storicamente coltivate in questa zona, ma erano perlopiù varietà internazionali facilmente vendibili sul mercato: Sangiovese, Montepulciano, Trebbiano, Chardonnay".
L'idea di Sveva, tornata al Sud dopo gli studi nel Nord Italia e in Spagna, era quella di produrre vini di terroir: "Perché un vino possa dirsi di terroir deve essere rappresentativo del territorio, dell'annata, della persona che lo produce e delle sue idee produttive. E, per me, il vino di terroir si intreccia con la produzione di vino naturale, perché un vero vino di terroir deve essere privo di interventi enologici".
Con il tempo, però, Sveva si è resa conto che proprio le varietà locali - per lei fondamentali - erano ormai quasi scomparse: "Sto parlando del Pampanuto, in primis, che ormai è veramente inesistente. Del Bombino bianco e anche del Nero di Troia. Quest'ultima varietà, per esempio, è una varietà locale della quale si parla poco e che per anni è stata vinificata imitando lo stile del Primitivo, quindi vini molto marmellatosi e fruttati che il Nero di Troia non dà perché non ha quel tipo di caratteristiche intrinseche. In questo modo si è cercato di dargli un mercato, nonostante secondo me non veniva vinificata secondo la sua sincera espressione".
Sveva e il suo team hanno così impiantato le varietà locali attraverso dei sovrainnesti sulle varietà internazionali già presenti. Da lì, però, si sono trovati ad affrontare un'altra sfida del territorio: il clima.
"Questa è una zona arida. Siamo ai piedi dell'Alta Murgia e sebbene 100 anni fa c'era una vera e propria foresta mediterranea, oggi c'è il deserto che avanza. Inoltre, ho notato che molte delle varietà locali sono suscettibili all'aumento di temperatura. E producendo vini naturali, non voglio dover utilizzare prodotti enologici in cantina per modificare, aggiustare e sopperire alle carenze. È stato immediato per me pensare che l'unico modo per adattare le piante a questo clima in cambiamento, e allo stesso tempo migliorare e mantenere la qualità delle uve, fosse trovare soluzioni in campo, le famose soluzioni basate sulla natura", spiega Sveva Sernia.
Di cosa avevano bisogno? "Maggiore luce filtrata per evitare scottature, creare ombra e mitigare il microclima aziendale. Per me è facile pensare che più vegetazione c'è più il clima è fresco. Dobbiamo allontanarci da tecniche che ci portano verso la desertificazione, come le eccessive lavorazioni, e prendere spunto dalle foreste primarie ricche di fertilità e umidità. Perciò più vegetazione c'è, più c'è umidità, fresco, mitigazione della temperatura, materia organica nel suolo e quindi attività del suolo, una buona struttura e una migliore infiltrazione dell'acqua. Sono tutte le cose che noi dobbiamo mantenere, migliorare e ottenere se non ce le abbiamo".
Un'agroforesta sintropica intensiva come soluzione
"L'agroforestazione è stata la tecnica che mi ha colpito di più tra tutte quelle che prevedono la rigenerazione, oltre all'inerbimento spontaneo che è sempre stato presente a Morasinsi, sia sulla fila che sull'interfila", afferma Sveva.
Da un anno e mezzo l'azienda ha avviato un progetto di agroforestazione insieme ad Eit Food seguito da Matteo Mazzola, perito agrario e consulente tecnico di agricoltura rigenerativa e sistemi agroecologici integrati, e dall'agronomo Antonio di Giorgio di Deafal.
In 15 filari di vite sono state inserite 20mila piante: 7 tra un ceppo e l'altro, a una distanza compresa tra 80 centimetri e 1,20 metri, appartenenti a diversi consorzi vegetali. Per questo motivo l'agroforesta si può definire intensiva ma anche sintropica perché le specie sono state scelte per creare una stratificazione funzionale e colmare tutte le nicchie ecologiche: piante tappezzanti, arbustive e aromatiche, la coltura principale e infine le emergenti.
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Agroforestazione in vigneto a Morasinsi
(Fonte: AgroNotizie®)
Ecco due esempi di consorzi presenti a Morasinsi:
- vinca (tappezzante), Coronilla valentina, Santolina rosmarinifolia e ginestra (arbustive/aromatiche), vite (principale), albizia (emergente);
- fillirea (tappezzante), rosmarino, lantana e ginestra (arbustive/aromatiche), vite (principale), finto pepe (emergente).
I consorzi sono stati scelti sia in base alla funzione delle singole specie, sia alla loro disponibilità. "Abbiamo selezionato piante con specifiche attività radicali o che potessero fare da "ombrello", come le emergenti. Altre le abbiamo scelte per la facilità di gestione - come il rosmarino, che si taglia facilmente, o la santolina, che rimane bassa e richiede poca manutenzione. Abbiamo poi inserito specie funzionali alla produzione di biomassa. Infine, abbiamo dovuto adattarci anche alla disponibilità dei vivai: molte delle piante che avevamo previsto inizialmente non si trovavano e le abbiamo sostituite con altre", spiega Sveva.

Lantana, rosmarino e ginestra nei vigneti di Morasinsi
(Fonte: AgroNotizie®)
La piantumazione è avvenuta attraverso un lavoro di squadra di 4 persone, che è durato solo 4-5 giorni lavorativi. Lo racconta Sveva che dice: "Sono state giornate meravigliose perché il team di lavoratori agricoli si chiedeva il perché di ciò che stavamo facendo. Questo è un sistema altamente innovativo per la zona. Lo è già un semplice inerbimento spontaneo, figuriamoci far crescere altre piante in un vigneto e non rendere più protagonista la vite".
Come viene gestito questo disordine ecologico? Le piante spontanee che crescono sulla fila e tra la fila vengono trinciate un paio di volte l'anno, soprattutto in estate per evitare gli incendi e prima della vendemmia per rendere più agevole il raccolto. Le piante del sistema forestale, invece, vengono gestite attraverso dei tagli e delle potature leggere con tosasiepi.
Al momento l'obiettivo è quello di vedere quali consorzi funzionano meglio per poi estenderli al resto del vigneto. L'azienda è infatti composta da 8 ettari: circa uno è dedicato al progetto agroforestale, un altro ospita una food forest (un sistema multifunzionale dove convivono piante da frutto, da legname ed erbacee), mentre negli altri filari si trovano impianti meno complessi, caratterizzati da una copertura costante del suolo e, in alcuni casi, da piante emergenti poste alle testate.
La gestione fitosanitaria è un tema che sorge spontaneo quando si parla di vigneto, ma in un'agroforesta l'equilibrio ecologico tende a regolarsi da sé, riducendo la necessità di interventi esterni: "Non posso dire di non avere competizione o di non avere malattie fungine perché il sistema è recente e deve ancora essere valutato. Dai miei studi, dalle mie esperienze e da quelle di altri che adottano i sistemi agroforestali sono convinta, come dice Ernst Gotch, che non esiste la competizione e mi riallaccio di nuovo al discorso del deserto e della foresta. Nelle foreste primarie c'è una pianta ogni 5 centimetri: non c'è competizione, c'è collaborazione. E infatti quelli sono i sistemi più attivi, più fertili, più umidi. Se invece pensiamo ancora alla competizione e al fatto di dover avere un'unica pianta da reddito, svincolata da qualsiasi altra cosa, ci avviciniamo al deserto".
Sveva continua: "Ovviamente ogni cosa va poi valutata nel proprio ambiente. Magari ci saranno alcune specie che alla vite non piaceranno, anche se finora non le ho notate. Il sistema è qui da un anno e mezzo e la vite sta benissimo vicino a tutte le piante che abbiamo scelto. Per quanto riguarda la competizione a livello nutrizionale, io credo nella grande interazione che nasce con le piante di supporto. Non a caso si chiamano così: perché supportano, non perché tolgono. Io credo che queste piante faranno un grande lavoro a livello di solubilizzazione dei nutrienti e di transizione verso un sistema rigenerativo.
Per quanto riguarda le malattie fungine, io credo che i sistemi più suscettibili siano quelli monocolturali, caratterizzati cioè dalla presenza di una sola specie in maniera eccessivamente semplificata".
Dal punto di vista economico, realizzare un'agroforesta in vigneto è stato un investimento importante? "Sì, Eit Food ci ha fornito il servizio di consulenza ma noi abbiamo dovuto collaborare acquistando le 20mila piante. Le abbiamo acquistate piccole, in plateau, che è molto meglio a livello di attecchimento. In questo modo abbiamo risparmiato e ridotto la probabilità di fallanze".
I benefici del sistema agroforestale in vigneto
Il progetto agroforestale è stato fatto su 3 varietà, sulle quali secondo Sveva era più urgente lavorare: Pampanuto, Moscato Reale e Nero di Troia. Queste varietà, infatti, soffrono maggiormente di sbilanciamenti a livello di maturazione, dati dall'aumento delle temperature.
Ma al momento il progetto è in fase di adattamento e osservazione: "Vorrei riservarmi altre due vendemmie per tirare fuori le prime conclusioni pratiche sulla qualità del suolo e delle uve e per parlare di quali piante hanno attecchito meglio e sono più facili da gestire".
I primi benefici, quelli visibili già nel breve periodo, sono però già evidenti:
- riduzione della temperatura del suolo;
- maggiore umidità;
- maggiore attività biologica del suolo;
- copertura verde anche in piena estate.
Un esempio è la coronilla, una leguminosa che contribuisce ad abbassare la temperatura del suolo grazie alla sua fitta copertura verde. Le sue radici profonde raggiungono i nutrienti che la vite da sola non riuscirebbe ad assorbire e, al tempo stesso, favoriscono la solubilizzazione del fosforo - un elemento fondamentale ma poco disponibile nei suoli calcarei come quelli di Morasinsi. In questo modo la coronilla penetra in profondità, rompe il terreno, lo rigenera e rende il fosforo più accessibile alla vite.
Nel tempo ci si aspettano molti altri benefici: un migliore equilibrio nutrizionale delle piante, una maggiore resilienza alle ondate di calore e alle malattie fungine, oltre a una riduzione degli input, a partire dall'acqua.
"Nei vigneti di Morasinsi - racconta Sveva Sernia - facciamo irrigazione di soccorso nella fase di fioritura e verso la raccolta. Sto cercando di limitarne l'utilizzo anche se non è facile visto che qui a fine giugno le temperature sono altissime e non ci possiamo permettere di perdere produzione. Parte dell'acqua di irrigazione l'abbiamo anche utilizzata per sostenere le prime fasi di crescita delle piante di supporto, ma queste stesse piante con il tempo ci aiuteranno ad essere più resilienti dal punto di vista dell'input idrico, perché manterranno il suolo più umido e più fresco e forniranno verde, quindi vita e acqua".
Il progetto agroforestale è supportato anche da una solida componente analitica: vengono infatti effettuate analisi della linfa fogliare per monitorare lo stato fisiologico delle piante.
"Questo tipo di analisi viene effettuato solo in un laboratorio in Olanda: raccogliamo le foglie la mattina presto, le conserviamo in bustine di plastica e devono arrivare in laboratorio entro il giorno successivo, perché la linfa va analizzata immediatamente. Si studiano diversi parametri come il pH, il contenuto di zuccheri e la concentrazione dei minerali.
Ho voluto affiancare a queste anche le analisi minerali dei mosti, ed è interessante osservare come emerga una continuità tra ciò che rilevo nelle foglie e ciò che ritrovo nel vino. Sono certa che il consorzio agroforestale e le piante introdotte influenzeranno la dinamica di accumulo dei nutrienti e dei minerali, sia nella vite che nei mosti".
In cantina: il vino come espressione del territorio
Quanto sono andate di pari passo la sperimentazione in campo e quella in cantina? "La sperimentazione in campo ci aiuta a massimizzare l'espressione del territorio. L'avvicinamento all'agricoltura rigenerativa e la transizione è partita un po' dopo, ma proprio perché ci siamo resi conto con il tempo che per fare vino naturale senza interventi enologici dobbiamo tutelare vigna. Il vino, infatti, si fa in vigna".

Cantina di Morasinsi
(Fonte: Hassel Omnichannel)
Perciò, in campo si lavora sull'adattamento climatico delle varietà locali, in maniera funzionale alle produzione in cantina di vini naturali di terroir.
Oggi l'azienda produce circa 30mila bottiglie l'anno di vini naturali fatti affinare in cemento e anfore in ceramica senza interventi enologici.
"Produciamo due bianchi, un rosato e due rossi a base di varietà locali - racconta Sveva - Normalmente per la vinificazione si possono usare centinaia di sostanze (lieviti commerciali e industriali, acidificanti, tannini, profumi esogeni) e si possono fare filtrazioni sterili per produrre vini brillanti e uguali tra una bottiglia e l'altra e tra un'annata e l'altra. Per Morasinsi il vino è l'unione tra terroir, varietà locali e annata e con i prodotti enologici l'espressione di questi tre fattori e la loro unione verrebbe meno.
Per esempio, per i vini bianchi facciamo fare una piccola macerazione sulle bucce, una tecnica un po' inusuale che serve per estrarre antiossidanti e tannini che aiutano nella conservazione. Lavorare così è più impegnativo perché la qualità delle uve deve essere massima, non potendola poi aggiustare, e soprattutto dobbiamo tenere presente tutte le fasi produttive. Per questo ho una formazione microbiologica specializzata nella produzione di vino da fermentazioni spontanee. L'obiettivo resta comunque l'accettazione e l'apprezzamento da parte del mercato. Morasinsi nel 2018 è partita da zero e oggi in Puglia gode di una ottima considerazione e soprattutto della collaborazione con ristoratori ed enotecari che condividono con noi questo approccio produttivo. Ma vendiamo anche in tutto il mondo".
Nessuno dei vini commercializzati da Morasinsi prevede l'affinamento in acciaio. "Il cemento è un bellissimo contenitore con delle pareti molto spesse che permettono di mantenere molto bene la temperatura. Questo è importantissimo per noi, perché raccogliamo d'estate quando fa caldo e durante la fermentazione la temperatura aumenta moltissimo, svantaggiando poi quei microrganismi come i lieviti che devono poter fare una fermentazione regolare".

L'affinamento dei vini a Morasinsi avviene nel cemento
(Fonte: AgroNotizie®)
Le anfore in ceramica, poi, come il cemento possiedono pareti spesse e microporose: "Fanno passare un po' di ossigeno. Le usiamo per fare un Pampanuto bianco e un Nero di Troia rosso. Entrambi vengono messi all'interno delle anfore e lasciati maturare con le bucce per circa un anno. Ho scelto queste due varietà perché hanno una buccia più spessa e perché sono le due varietà locali che vorrei valorizzare secondo un approccio più lento, manuale ed espressivo. In questo modo le uve non vengono sempre mescolate e i solfiti vengono estratti in maniera lenta ed elegante".

Anfore in ceramica nella cantina di Morasinsi
(Fonte: AgroNotizie®)
È su questa lentezza che Sveva punta molto, affermando anche che: "I vini non vengono venduti quando il mercato me lo chiede. I vini vengono venduti quando sono pronti".
Non è solo una questione ambientale
Durante l'intervista, Sveva ha sottolineato che il progetto non ha solo un valore ambientale, ma rappresenta soprattutto una scelta produttiva e commerciale.
L'obiettivo finale resta quello di produrre un buon vino da vendere. Un investimento di questo tipo richiede non solo risorse economiche, ma anche una certa lungimiranza: serve infatti saper collegare le tecniche adottate a risultati concreti, sia produttivi che economici.
"Non possiamo più permetterci - conclude Sveva Sernia - di considerare il vigneto come un sistema estremamente antropizzato e monocolturale, in cui esiste solo la coltura da reddito. Le piante di supporto sono parte integrante del nostro reddito aziendale: lo facciamo per lavorare meglio, per guadagnare e per produrre un vino buono. Certo, lo facciamo anche per motivi ambientali, ma questo rientra nella nostra etica professionale. È una scelta che ha vantaggi anche economici: bisogna capire come renderla sostenibile, ma sono certa che porterà benefici, perché ci consentirà di ridurre gli input esterni e di usare molta meno acqua rispetto a chi pratica una viticoltura irrigua tradizionale".
Autore: Vittoriana Lasorella