Il miglioramento genetico del melo, situazione e prospettive in Italia e in Europa

Intervento di Silverio Sansavini, Dipartimento di Colture arboree dell'Università di Bologna, nell'ambito del convegno sull'innovazione varietale di pero e melo di Ferrrara

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Silverio Sansavini, Dipartimento di Colture arboree dell'Università di Bologna

La coltura del melo nel dopoguerra ha conosciuto un drastico e benefico rinnovamento varietale, che ha conosciuto almeno tre momenti evolutivi: a. introduzione in massa delle varietà americane cui è seguito ed è ancora attuale l’avvento dei mutanti clonali, vedi Golden Delicious, Red Delicious, Jonagold e altre varietà policlonali; b. introduzione e differenziazione tipologica delle mele come risultato della globalizzazione dei mercati, con forte incidenza australe (Nuova Zelanda, con i gruppi Gala e Braeburn), Australia (quali Pink Lady) e Giappone (Gruppo Fuji) ; c. progressiva recente riconquista dell’identità delle mele europee con preponderante apporto di Germania (es. Pinova), Olanda (es. Elstar), Italia (es. Rubens), Francia, Belgio, Svizzera, Rep. Ceca.

E ora che fase viviamo? C’è una forte consapevolezza in tutti i paesi europei che la competitività mercantile della mela si giocherà in futuro su più fronti e attraverso propri specifici apporti varietali.
La melicoltura europea ed italiana potranno competere se le varietà incontreranno il gradimento dei mercati, dominati sempre più dalle grandi catene distributive, e per ciò dovranno raggiungere l’eccellenza qualitativa, prerogativa questa delle singole varietà, esaltata però dalla vocazionalità ambientale e dalla sostenibilità dei sistemi di coltivazione, nonché dalle garanzie sanitarie e di salubrità dei frutti, imposte dalle nuove regole di mercato.
Ciò posto, esistono in Europa una cinquantina di progetti di miglioramento genetico pubblici e privati, soprattutto pubblici, che nell’ultimo quinquennio hanno sfornato ben 90 varietà (oltre a 10 nuovi portinnesti), 39 delle quali resistenti a ticchiolatura e ad altri patogeni. Apparentemente troppe.
E' evidente che nessun paese intende produrre mele solo per sé. Il sistema di protezione dei diritti di proprietà intellettuale e quindi dei brevetti consente di impostare programmi di diffusione (a livello internazionale), per cercare di entrare nei mercati facendo valere proprietà e tipicità territoriali-qualitative delle nuove mele.
 
Anche il mondo vivaistico si è internazionalizzato attraverso compartecipazione a grandi gruppi e associazioni che giocano certo un ruolo positivo nella diffusione delle varietà e delle conoscenze sulle stesse. Senza contare che, al di là di qualsiasi programmazione, saranno poi le GDO a scegliere, decidere e perciò ad aprire o chiudere le porte alle “new entry”. In siffatta situazione qualsiasi nuova varietà, anche se migliore di quelle coltivate, fa una grande fatica ad essere accettata; occorre la sua immediata riconoscibilità e deve possedere caratteri distintivi anche in senso qualitativo-sensoriale.
Nonostante la forte pressione commerciale, nei nuovi impianti, lo spazio lasciato alle novità è molto limitato, talora quasi inesistente. Nella maggior parte o quasi totalità delle aree melicole di primaria importanza (es. Val di Non, Val Venosta, Valtellina ecc.) i grandi gruppi consortili preferiscono mantenere l’assetto varietale che ne ha determinato la fortuna e giocano piuttosto sulla scelta clonale delle varietà più affermate.

Occorre ancora precisare che le differenze fra i programmi non stanno tanto negli obiettivi ormai comuni, quanto nell’utilizzo di diverse linee parentali. Gli obiettivi sono il  miglioramento della qualità: aspetto, consistenza, croccantezza, succosità, dolcezza-acidità-aromaticità. Buona conservabilità e lunga “shelf life” e le modifiche dell’albero: costanza produttiva, precocità di messa a frutto, habitus di fruttificazione ben governabile, rusticità e resistenza a stress per lo più biotici (malattie) in particolare ticchiolatura, fireblight, oidio, cancro della corteccia, marciume del colletto.
I risultati, pertanto, sono abbastanza diversificati, la qualità delle mele ad esempio viene considerata in rapporto ai mercati di preferenza e destinazione: mele da dessert, mele fuori pasto, mele rinfrescanti, mele per succhi o per utilizzi dolciari e industriali. Anche per l’habitus, si cercano forme con buon equilibrio vegeto-produttivo, alto indice di lamburde (spur) e persino infiorescenze a frutto unico (per evitare il diradamento). Per la resistenza alle malattie sono state ottenute decine di varietà resistenti a ticchiolatura, ma ora i principali programmi mirano alla “piramidizzazione” delle resistenze (che richiedono più geni di resistenza, per evitare perdite di resistenza per mutazione del patogeno e quindi aumento della sua virulenza). Ci sono già in Svizzera e Germania varietà di mele con più resistenze (es. Ariwa). Ci sono anche varietà che hanno varie tolleranze genetiche o forme di resistenza orizzontali, tipo la tedesca Pinova. I programmi più avanzati fanno uso di inoculazioni artificiali per lo screening in serra (a ticchiolatura e oidio), per accelerarne la selezione e ridurne i costi.

Sono in via di adozione anche Metodologie molecolari per la selezione assistita precoce (Mas) che consente di valutare subito se i semenzali possiedono o no certi caratteri, non solo di resistenza. I panel test sensoriali sono ormai comuni mezzi di valutazione della qualità e vengono organizzati dai costitutori d’intesa con le catene di supermercati.
I cinque maggiori programmi italiani sono in parte privati e in parte sorretti da istituzioni pubbliche; contano oggi su oltre cinquecentomila semenzali. Negli ultimi dieci anni sono state licenziate alcune varietà che si stanno significativamente affermando. Ad es. Rubens, Gold Chief e Golden Orange in montagna, Modì in pianura (queste due ultime sono ticchiolatura-resistenti), Forlady, tardiva come Pink Lady. Non meno di una trentina di selezioni sono prossime alla valutazione finale per deciderne il licenziamento e l’area di potenziale coltivazione, nonché la forma di gestione del prodotto (con o senza “club”).
L’Italia, dunque, si prepara a disporre di una sua rosa di varietà ad alto potenziale genetico, scelte per la qualità e la distintività dei frutti, l’efficienza dell’albero, adatte agli ambienti di coltura italiani ed a caratterizzare la produzione nel contesto di uno scenario internazionale molto selettivo.

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