Il segreto del risotto perfetto

La chiave è da ricercarsi nella quantità e nella qualità di amido nel chicco di riso, risultato di secoli di miglioramento genetico

Il segreto del risotto perfetto - Plantgest news sulle varietà di piante

Spesso la riuscita di un certo piatto è legata al tipo di riso utilizzato (Foto di archivio)

Fonte immagine: © kuvona - Adobe Stock

Come mai un Arborio è più idoneo per un risotto? Come mai con un Ribe si possono fare ottime insalate fredde mentre con un Kome si può stupire gli ospiti con un buon sushi? Tutte queste varietà di riso hanno in comune la ricerca made in Italy che negli anni ha prodotto un chicco ideale per ogni diversa preparazione.  

 

Risultato: piatti che sono un vero e proprio diamante della tradizione gastronomica italiana.

 

Ma qual è il segreto dietro tanto successo?

 

La tematica è stata affrontata durante il primo study trip in Lomellina (Pv) tenutosi in ottobre 2022, nel centro ricerche sul riso dell'Ente Nazionale Risi, nell'ambito del Progetto Sustainable Eu Rice - Don't Think Twice.   

Si tratta di un programma triennale promosso da Ente Nazionale Risi (Italia), Casa do Arroz - Associação Interprofissional do Arroz (Portogallo) e il Sindacato dei Risicoltori di Francia e Filiera (Francia).   

Il Progetto ha lo scopo di diffondere la conoscenza sulla produzione risicola e sugli utilizzi in cucina del riso made in Europa e rafforzare la consapevolezza del valore della risicoltura in termini di sostenibilità e tutela delle risorse naturali.

 

Più spazio, più sapore

Il miglioramento genetico ha portato nei secoli a selezionare centinaia di migliaia di varietà di riso molto diverse tra di loro, e non interscambiabili. Spesso la riuscita di un certo piatto è legata al tipo di riso utilizzato: è evidente che con un Basmati molto difficilmente verrà un buon risotto.

 

Oltre all'abilità del cuoco e alla bontà degli ingredienti c'è un elemento visibile solamente al microscopio che determina la buona riuscita di un risotto, ovvero l'amido contenuto nel chicco di riso.

 

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In foto granuli di amido visti al microscopio

Fonte foto: © Pawel Burgiel - Adobe Stock

 

L'amido è un carboidrato costituito da tante molecole di glucosio legate fra di loro e costituisce l'80% di un chicco di riso. Le sue caratteristiche all'interno del seme dipendono dalla genetica della specie e dalle condizioni ambientali in cui essa si sviluppa.

 

"Nei chicchi delle varietà italiane coltivate al 45° parallelo dove ci sono determinate condizioni pedoclimatiche, l'amido ha una consistenza più spugnosa. Questa consistenza spugnosa permette al singolo chicco di assorbire tutti i sapori; caratteristica che i risi coltivati in Cina per esempio non hanno. Nelle varietà italiane, - spiega Filip Haxhari, dirigente del Dipartimento di Miglioramento Genetico dell'Ente Nazionale Risi - soprattutto in quelle di vecchia generazione la struttura fisica del granello risulta specifica e diversa da tutte le varietà straniere in quanto i granuli di amido sono di forma irregolare e di dimensione più grossa, mentre gli spazi vuoti all'interno del granello sono molto più numerosi ed ampi, dunque di maggiore volume".

 

In poche parole, le nostre varietà hanno tanti spazi vuoti tra un granulo e l'altro di amido; la struttura finale, quindi, è meno compatta. La presenza di questi spazi consente al chicco di assorbire acqua, condimento e sapore durante la cottura.

 

"Nelle varietà straniere invece, il chicco di riso è caratterizzato da granuli di amido molto più piccoli e di conseguenza da una struttura più compatta e senza spazi vuoti fra loro. Soprattutto quelli asiatici possono essere solo bolliti in acqua o cotti a vapore e solitamente, serviti a tavola accompagnati da altri ingredienti".  La differenza è evidente anche a colpo d'occhio quando si paragona un classico riso indiano con un risotto italiano.

 

In foto la struttura dei granuli di amido della varietà Carnaroli

In foto la struttura dei granuli di amido della varietà Carnaroli

Fonte foto: Ente Nazionale Risi

 

Per esempio, se il Carnaroli oggi viene definito il "re" dei risotti non è per motivi casuali o soggettivi, ma proprio per una vera e propria impronta genetica che lo differenzia da tutte le altre varietà.

 

Genetica e identità gastronomica, il mix per il successo

Oggi passare dal riso grezzo al risotto il passo è molto breve. Ma per arrivare alle performanti varietà coltivate adesso ci sono voluti più di 500 anni di studio, evoluzione, tradizione e ricerca di nuovi sapori. 

Infatti, agli inizi della coltivazione del riso (primi anni dell'Ottocento) in Italia si coltivava solamente una varietà: il Nostrale.

 

Dal Novecento in poi, con la problematica della malattia del Brusone (Pyricularia grisea), si cominciarono ad importare da Cina, Indie e Giappone una serie di nuove varietà che aiutarono ad aumentare la resistenza a questa malattia fungina. Ed è in questo periodo storico che la risicoltura cominciò ad avere a disposizione un gran numero di varietà disponibili come il Bertone, l' Ostiglione, il Lencino, il Ranghino e il Chinese Originario per muovere i primi passi verso l'attività di miglioramento varietale.

 

Alcuni risicoltori appassionati selezionarono in campo le piante di riso migliori e le incrociarono tra di loro. In questo modo si ottennero nuove piante sempre più produttive e resistenti alle malattie.  Nacquero così le varietà "nostrane" (1850-1900), coltivate ancora oggi, come il Vialone nero, e chiamate così per differenziale dalle varietà straniere precedentemente introdotte.

 

Le varietà "nostrane" si diffusero anche perché avevano una particolarità in comune: il loro chicco poteva assorbire aromi, sapori, condimenti e profumi. Una caratteristica che le varietà straniere non presentavano. 

Occorre aspettare fino al 1925 per l'applicazione dell'ibridazione artificiale, che portò sul mercato nuove varietà con chicchi di forme e dimensioni diverse per adattarli al risotto. Da qui in poi nacquero le linee italiane più famose che determinarono l'eccellenza di questo piatto come Vialone nano, Razza 77, Rizzotto, Carnaroli, Arborio, Roma, Baldo e San Andrea.

 

La genetica da sola però non avrebbe raggiunto questo importante traguardo se non fosse andata a braccetto con una forte cultura alimentare. Difatti Haxhari specifica: "Il passaggio della cottura del riso dalla casseruola in forno alla padella su fuoco vivo ci spiega quel percorso identitario che ha permesso, nel lungo tempo, tanto in Spagna quanto in Italia, di individuare la giusta consistenza del piatto e differenziare la paella spagnola dal risotto italiano".

 

La cultura di un popolo, la maestria e la fantasia culinaria, la plasticità genetica di una varietà favorita anche dalle condizioni ambientali locali in cui viene coltivata hanno permesso nei secoli di far diventare il risotto una vera e propria perla identitaria del nostro Paese.

 

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Progetto Sustainable Eu Rice - Don't Think Twice

Autore: Chiara Gallo

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