Un'olivicoltura più imprenditoriale si può fare
La parola chiave è progettazione. Prendere le decisioni giuste fin dall'inizio con uno sguardo lungimirante al futuro per avere un impianto produttivo, sostenibile e redditizio a lungo termine
È in gioco il podio nella competizione dei mercati europei oleari e la sopravvivenza di molte aziende agricole del settore: l'olivicoltura italiana è ancora molto legata alla tradizione, ma si fa sempre più evidente la necessità di adeguarsi alle moderne tecniche di coltivazione, utilizzate anche con altre colture frutticole.
Ma è un'intera mentalità radicata nel tempo che deve iniziare a cambiare.
Infatti, i cambiamenti climatici richiedono anche all'agricoltura una rapida capacità di adattamento tecnologico e varietale, per affrontare le nuove sfide legate a stress ambientali e pressioni biotiche sempre più estreme.
In Italia, ci sono coltivazioni che storicamente sono rimaste invariate per metodo e innovazione. È proprio il caso dell'olivo. Ma per avere produzioni olearie competitive sul mercato europeo serve un cambio di approccio: diventa fondamentale progettare un impianto in modo strategico. Significa cioè pianificare l'avviamento e la gestione dell'oliveto in modo che sia sostenibile e produttivo a lungo termine, minimizzando i costi di gestione e massimizzando i profitti.
Ma nella pratica, come si fa?
L'olivicoltore deve predisporre l'impianto in modo da ricavare i massimi profitti dalla produzione, impiegando i minori input di gestione, ma che devono essere all'avanguardia, mirati ed efficaci, ad esempio con l'impiego di sensoristica e un alto livello di meccanizzazione. Non da meno deve valutare la sua l'integrazione armonica nel paesaggio, curando anche l'aspetto della biodiversità dell'ecosistema agrario. In breve, deve assumere un approccio imprenditoriale all'oliveto.
Ma è possibile?
Abbiamo intervistato due esperti di olivo dell'Università Politecnica delle Marche, il dottorando Matteo Zucchini e l'associato Enrico Maria Lodolini per fare il punto sulla coltivazione dell'olivo in Italia e il suo futuro in risposta all'adattamento climatico.
Prima di qualsiasi considerazione, bisogna avere chiaro che la salute del suolo è un punto di partenza fondamentale, alla base di qualsiasi progetto agronomico. Infatti, buone caratteristiche fisicochimiche e microbiologiche del terreno, facilitano la gestione agronomica e conferiscono ad un impianto maggiore resilienza.
Un altro punto di partenza fondamentale è la scelta della cultivar più giusta per il proprio terreno e per le specifiche condizioni climatiche.
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Tecniche colturali, personalizzarle è meglio
"Parola d'ordine: progettazione" dice Lodolini.
A volte si prendono decisioni anche importanti basandosi sul sentito dire o sulla tradizione del "si è sempre fatto così". Invece perché siano efficaci ma soprattutto proficue, sarebbe meglio consultare un esperto agronomo. In quanto professionista è in grado di valutare la vocazionalità ambientale, e di conseguenza calibrare la scelta varietale e consigliare la gestione agronomica più indicata - ovvero una progettazione personalizzata a misura d'azienda e a lungo termine. Infatti, scegliere una gestione appropriata significa garantire la salute di tutto il sistema acqua-suolo-pianta e renderlo efficiente sia dal punto di vista produttivo che per una maggiore resilienza.
Le tecniche agronomiche che si scelgono di applicare in campo sono quasi più importanti della scelta varietale. O meglio, l'una è conseguente delle altre: le tecniche vanno adattate alla varietà che si ha, oppure la varietà va scelta in base agli strumenti che si hanno a disposizione e al territorio in cui ci si trova. E il successo nella produzione è il risultato della combinazione di entrambe, tecnica colturale e scelta varietale.
In frutticoltura, la tecnica colturale è specifica per ciascun modello d'impianto, così come l'architettura di crescita della pianta è diversa da cultivar a cultivar. Potare nella maniera più idonea una determinata varietà significa avere rese migliori e, di conseguenza, maggiori entrate.
Ci sono varietà che vanno mantenute con piante più grandi e con meno densità di ramificazioni; altre che invece si prestano ad una struttura più compatta ma con maggiori ramificazioni che richiedono interventi di potatura diversi rispetto alle prime.
Potenzialmente le diverse tipologie di impianto sono tutte di successo, purché venga adottata la tecnica giusta.
"Oggi si sente parlare sempre più spesso di impianti di olivo ad alta o altissima densità", dice Zucchini. "In questi la gestione deve essere rigorosa, perché non ci si può permettere di fare troppi errori: una concimazione sbagliata o una potatura di troppo possono compromettere il corretto funzionamento dell'impianto. A differenza di queste tipologie di impianto invece, gli oliveti tradizionali e a bassa densità sono più tolleranti rispetto a questo tipo di errori, perché sono più resilienti grazie alla maggiore distanza tra le piante e una minore pressione colturale".
Oliveto superintensivo gestito a siepe
(Fonte: © Revive Photo Media - Adobe Stock)
Ad oggi, l'olivicoltura italiana mantiene un'impronta tradizionale, lenta ad evolversi e ad integrare tecnologie o mezzi già ampiamente rodati su altre frutticole. Ad esempio, come in qualsiasi impianto di frutticoltura, l'utilizzo di reti anti insetto potrebbe essere efficace sia come protezione da fitofagi dannosi, come ad esempio la mosca dell'olivo in produzioni ad alto reddito (olive da mensa), sia con funzione di ombreggiamento, nel caso in cui le piante soffrano per un eccessivo irraggiamento, sia come protezione dalla grandine.
Allo stesso modo, non predisporre un impianto di irrigazione per superare lunghi periodi di stress idrico, come verificatosi negli ultimi anni, è rischioso e rende la gestione più difficile.
L'obiettivo deve essere comune e deve essere lo stesso: portare anche l'olivicoltura ad un'efficienza produttiva tale da eguagliare quella di altre produzioni frutticole. In questo, un'agricoltura di precisione e il digitale sono elementi essenziali.
Il monitoraggio in campo e il dato che non ti aspetti
Infatti, anche il digitale può concorrere al miglioramento e alla costanza delle rese, fornendo un significativo supporto alle decisioni per gli agricoltori.
In che modo?
Utilizzando sistemi automatici per il monitoraggio in continuo e il riconoscimento degli insetti dannosi (ad esempio la trappola elettronica), sistemi di raccolta dati ambientali, come ad esempio caratteristiche del terreno e dati climatici, la registrazione delle dosi e del posizionamento degli interventi effettuati su piattaforme specifiche.
Come si è detto nel paragrafo precedente, le tecniche agronomiche vanno adeguate alla varietà scelta anche in base all'areale in cui si trova l'appezzamento. Tuttavia, gli studi condotti sulle diverse varietà e le differenti tecniche di gestione sono ancora troppo pochi o troppo recenti per dare delle valutazioni concrete del tipo di gestione più idoneo per tutte le cultivar di olivo presenti sul territorio.
Sicuramente, realizzare una gestione più su misura e più di precisione aiuta l'olivicoltore ad essere sempre a conoscenza di ciò che accade nell'impianto ed essere in grado poi a fine stagione produttiva di valutare gli input impiegati in rapporto alla resa ottenuta. Solo così l'olivicoltore-imprenditore potrà fare le dovute considerazioni e previsioni per l'annata successiva. Quindi, la raccolta dei dati in campo serve anche a questo, cioè a programmare i futuri lavori.
Oltre a tutti i dati colturali e climatici già monitorati in campo, ce n'è uno molto importante ma spesso ignorato, ovvero il numero di nodi nuovi creati dalla pianta sulle diverse tipologie di rami (produttivi e vegetativi). Infatti, spiega Matteo Zucchini: "Il numero di nodi nuovi creati dalla pianta sono indicatori delle gemme che andranno a frutto la stagione successiva ed è un parametro fondamentale da considerare per avere un equilibrio produttivo, oltre che vegetativo. Infatti, avendo presente il numero di nuovi nodi che la pianta sta producendo l'agricoltore può intervenire regolando gli interventi che aveva pianificato, limitando ad esempio l'irrigazione e rallentando le concimazioni nelle annate che si prospettano più produttive, e viceversa".
Impianti intensivi e superintensivi: sì ma con quali cultivar?
Innanzitutto, occorre fare una precisazione. Nell'immaginario comune ci sono alcune parole che sono state investite di un connotato negativo, tra queste proprio "intensivo". Per fare chiarezza, intensivo in sé fa riferimento a un tipo di gestione che prevede maggiori input esterni e rigorosi accorgimenti agronomici per ottenere la resa migliore possibile (ad esempio anche un impianto a medio-bassa densità può essere gestito in modo intensivo).
Poi comunemente la parola viene più spesso utilizzata per indicare un impianto caratterizzato da un'elevata densità delle piante.
Questa tipologia di gestione prevede anche un'entrata in produzione anticipata delle giovani piante, generando rese maggiori e più costanti rispetto ai tradizionali impianti. Inoltre, la densità permette un alto livello di meccanizzazione, compresa la raccolta. Tutti questi aspetti si possono applicare anche su superfici ridotte, per cui non è necessario avere molti ettari a disposizione per avere una buona resa.
L'alta densità richiede varietà di olivo a media bassa vigoria. In particolare:
- allevamento intensivo: si tratta di un impianto da 280 a 420 piante/ettaro. La raccolta può essere effettuata con uno scuotitore da tronco;
- allevamento superintensivo: da 1000-1200 piante/ettaro fino a 2000 piante/ettaro. La raccolta avviene mediante scavallatrice.
Ad oggi, le cultivar che si sono dimostrate idonee all'alta densità sono: Lecciana®, Maurino, Leccio del Corno, Piantone di Mogliano, Piantone di Falerone e Urano ma anche le spagnole Arbequina e Arbosana, e la greca Koroneiki.
In queste tipologie d'impianto si richiede una conformazione il più lineare possibile del sesto, in modo da agevolare le operazioni in campo che devono essere precise. Per questo la forma di gestione delle piante più efficiente è la coltivazione a siepe.
La sperimentazione su olivo portata avanti da Lodolini e Zucchini con l'Università Politecnica delle Marche ha mostrato l'adattabilità della varietà Arbequina a questo tipo di gestione, anche se sta dando buoni risultati in alta densità anche la cultivar marchigiana del Piantone di Mogliano, che ha iniziato a diffondersi anche in Molise, Abruzzo e Toscana, per la buona resa in olio e le interessanti proprietà organolettiche. Anche Rosciola Colli Esini si adatta bene al portamento a siepe.
Nel Centro Italia particolarmente diffuse negli impianti gestiti a siepe sono il Maurino e il Leccio del Corno, ma anche Leccino, Frantoio e Pendolino che vengono raccolti con macchina byside, cioè macchine raccoglitrici che lavorano solo da un lato del filare. Mentre più a Sud la Calatina è stata impiegata in Sicilia.
Questo è lo stato dell'arte al momento e i due ricercatori ci tengono a sottolineare che "Ovviamente fare impianti ad alta densità di questo tipo nelle Marche ha un significato un po' diverso dalle grandi produzioni di olio della Puglia o dell'Andalusia. Per avere un'idea del rapporto, se nelle Marche una produzione di olive di 5 tonnellate/ettaro è già da considerarsi buona, rispetto alle 2,5-3 tonnellate/ettaro di media per l'area marchigiana, non può competere con le 15 tonnellate/ettaro degli impianti intensivi di altri territori del Sud Italia".
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È bene sottolineare che "intensivo" non significa per forza monocoltura, appiattimento del paesaggio e scomparsa della biodiversità che, insieme agli elevati costi iniziali, spesso scoraggiano gli olivicoltori dall'intraprendere questa gestione.
Come vedremo nel capitolo "Biodiversità negli oliveti intensivi: come aumentarla grazie alla gestione del soprassuolo", infatti, l'olivicoltore può essere garante della diversificazione del paesaggio e di tutti gli elementi che favoriscono un ecosistema agrario sano e funzionale, evitando così la situazione tipica spagnola in cui si hanno grandi distese di olivi su suolo nudo.
Distesa di oliveti su suolo nudo in Spagna
(Fonte: Google Earth)
Sostenibilità e alta densità: una gestione completa e rigorosa
I due ricercatori sottolineano che "Occorre adottare tutte quelle tecniche che permettono un'entrata in produzione rapida del giovane impianto (in due o tre anni deve essere già a livelli produttivi elevati) e di poter meccanizzare la raccolta con la scavallatrice. In generale, per ottenere questo, si deve intervenire con minime potature, molto selettive, ed interventi costanti di irrigazione e concimazione in piccole quantità durante tutta la stagione.
In più, nei primi anni in cui la produttività delle giovani piante è scarsa si può attuare una defruttificazione, o ancora meglio una deflowering, in modo che la pianta investa tutte le risorse nella crescita vegetativa, anticipando in questo modo l'entrata in produzione al terzo anno. Infatti, lo sviluppo fiorale è un importante competitor della crescita del germoglio".
Di fatto, la gestione ad alta densità può essere sostenibile su due livelli: economico e ambientale. Il primo si realizza limitando e misurando gli input per avere rese maggiori e un'entrata in produzione anticipata. Mentre per realizzare il secondo, quello ambientale, bisogna intervenire sull'ecosistema agrario circostante, oltre che sulla gestione dell'impianto in sé.
Infatti, Lodolini interviene spiegando che "Parte tutto dalla progettazione. Di solito questi impianti possono anche essere su superfici più o meno ampie e diventa fondamentale inserirli in un contesto più esteso, progettando un ambiente più naturale possibile con siepi, fossi, laghetti e così via, per rendere tutto quel sistema più resiliente e più autonomo".
Resilienza che comprende anche una difesa naturale efficace contro i patogeni. Ecco quindi che, in un oliveto così studiato, anche la difesa fitosanitaria è facilitata dalle difese naturali messe in atto da un sistema suolo-pianta in salute e performante. Ne deriva che anche la difesa può essere di precisione: minore quantità di prodotti ma maggior efficacia.
Lo stesso ragionamento si può fare anche sulla fertilizzazione: sarebbe da privilegiare la fertirrigazione di precisione che permette dosi oculate e quindi un risparmio economico.
La parola chiave è lungimiranza
L'investimento iniziale per realizzare un impianto di questo tipo è sì più elevato, ma permette di ridurre i tempi in campo, l'uso di mezzi tecnici, e le spese di manodopera, con un risparmio e un profitto maggiori sul medio e lungo periodo.
Anche fare squadra può aiutare a rendere questi impianti più sostenibili economicamente, ad esempio con la condivisione dei macchinari di raccolta tra più agricoltori della stessa area.
Biodiversità negli oliveti intensivi: come aumentarla grazie alla gestione del soprassuolo
Le grandi distese di oliveti superintensivi presenti in Spagna potrebbero far pensare che quello sia il risultato delle produzioni ad alta densità, ovvero un paesaggio estremamente semplificato e completamente snaturato, dove per chilometri e chilometri ci sono solo e soltanto olivi a perdita d'occhio.
Assolutamente no, o meglio, non per forza.
L'olivicoltore, infatti, può evitare di originare questa situazione gestendo il suo impianto a 360 gradi. Un territorio così spoglio in termini di biodiversità ed elementi del paesaggio come quello di molti oliveti spagnoli va contro qualsiasi principio ambientale e di buone pratiche agronomiche.
Anche l'impianto ad alta densità si può arricchire con specie cover crops, coprendo l'interfila o l'intera superficie.
"Arricchire in termini di biodiversità l'oliveto è possibile anche grazie alla gestione dell'interfila con l'inerbimento, che è consigliabile mantenere sempre o effettuare sfalci ritardati dopo le fioriture per favorire l'attività degli insetti impollinatori.
Mentre nel sottofila si possono prevedere pacciamature vive con specie spontanee o trapiantate, oppure si possono realizzare produzioni secondarie utilizzando specie idonee all'ambiente in cui ci si trova ad operare (ad esempio specie officinali o fragoline di bosco). In questo modo è possibile mantenere un microclima del suolo nel sottofila con condizioni migliori, favorendo anche il lavoro dell'apparato radicale dell'olivo, oltre ad una serie di servizi ecosistemici importantissimi, a favore della biodiversità dell'entomofauna e della diversità microbica nei primi strati di suolo" dice Lodolini.
Infatti, i benefici dell'inerbimento sulla fertilità del suolo sono ormai ampiamente dimostrati: migliora la struttura del suolo, aumenta la capacità di ritenzione idrica e ottimizza così di fatto anche l'acqua dell'irrigazione. Inoltre, costituisce un serbatoio maggiore per lo stoccaggio di carbonio organico nel suolo, disponibile alle piante. Attutisce, infine, gli effetti delle acque di scorrimento superficiale, limitando fenomeni di erosione e lisciviazione dei nutrienti.
Oliveto con inerbimento totale
(Fonte: © AP - Adobe Stock)
La scelta di effettuare un inerbimento del sottofila, dell'interfila o totale dipende poi da diversi fattori, tra cui l'età dell'impianto e la disponibilità di acqua. Infatti, le giovani piante di olivo sono più inclini a subire una maggiore competizione per acqua e nutrienti con le specie utilizzate per l'inerbimento.
Sta nell'olivicoltore decidere poi che tipo di cotico erboso realizzare, se con specie spontanee controllate con sfalci o trinciatura, oppure con semina di specie scelte a ciclo annuale o poliannuale. Inoltre, si può avere un vantaggio in termini di fertilità se si preferisce utilizzare specie leguminose in grado di apportare azoto biodisponibile alle piante.
Per mantenere poi il suolo fertile, con il maggiore contenuto di sostanza organica a disposizione delle piante, è importante intervenire con minime lavorazioni del terreno, come nel caso della rippatura o la non lavorazione. Il beneficio principale che ne deriva è il rallentamento dei processi di mineralizzazione della sostanza organica, rimanendo così disponibile più a lungo per le colture.
In conclusione, è preferibile una gestione conservativa del suolo.
Bibliografia e materiale di approfondimento consigliato
"Tradizione e Innovazione per un'Olivicoltura moderna e di qualità" a cura di Elena Santilli ed Enzo Perri; Crea
"Nuove prospettive per l'olivicoltura biologica italiana" a cura di Elena Santilli ed Enzo Perri; Crea
"Mitigazione dei cambiamenti climatici attraverso una filiera sostenibile per il settore olivicolo-oleario" a cura di Primo Proietti e Luca Regni; Olive4Climate
"Ripening Indices, Olive Yield and Oil Quality in Response to Irrigation With Saline Reclaimed Water and Deficit Strategies" di Cristina Romero-Trigueros, Gaetano Alessandro Vivaldi, Gaetano Alessandro Vivaldi, Emilio Nicolás Nicolás, Antonello Paduano, Francisco Pedrero Salcedo, Salvatore Camposeo
"Prediction of Stem Water Potential in Olive Orchards Using High-Resolution Planet Satellite Images and Machine Learning Techniques" di Simone Pietro Garofalo, Vincenzo Giannico, Leonardo Costanza, Salem Alhajj Ali
"Preliminary observations about the performance of 13 varieties according to the super high density oliveculture training system in Apulia (southern Italy)" di S. Camposeo e A. Godini
"Olive cultivars field-tested in super-high-density system in Southern Italy" di S. Camposeo e A. Godini
"Different Weed Managements Influence the Seasonal Floristic Composition in a Super High-Density Olive Orchard" di Stefano Popolizio, Gaetano Alessandro Vivaldi, Salvatore Camposeo
"Intensification in Olive Growing Reduces Global Warming Potential under Both Integrated and Organic Farming" di Salvatore Camposeo, Gaetano Alessandro Vivaldi, Giovanni Russo e Francesca Maria Melucci
Autore: Chiara Manfroni