Agromining, così i suoli marginali o inquinati generano ricchezza

Alcune specie di piante sono in grado di estrarre dal terreno metalli preziosi, come nichel, cadmio, cobalto, rame o tallio. Alcuni di questi sono indispensabili per l'industria hi-tech. L'agromining si configura così come una attività potenzialmente redditizia

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Alcune piante sono in grado di estrarre minerali dal suolo (Foto di archivio)

Fonte immagine: © JPchret - Adobe Stock

Gli agricoltori hanno lottato da sempre contro la tendenza di alcune piante a bioaccumulare metalli pesanti nei propri tessuti. Lo sanno bene i risicoltori, che durante le fasi di asciutta e sommersione corrono il rischio che le radici assorbano arsenico e cadmio, due metalli severamente regolamentati soprattutto nei baby food. Anche il pomodoro, noto per bioaccumulare nichel nelle bacche, può causare reazioni allergiche nei consumatori sensibili.

 

Eppure, oggi questa stessa capacità di bioaccumulazione può diventare una opportunità economica per gli agricoltori e un metodo ecosostenibile per estrarre metalli preziosi dai suoli degradati. Si chiama agromining, o phytomining, ed è una tecnologia che trasforma le piante in "colture metalliche", capaci di prelevare elementi strategici dal terreno, accrescendo al contempo il valore della biomassa prodotta.

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L'agromining rappresenta il punto di incontro tra la biologia delle piante e i processi metallurgici. La tecnica prevede la semina di specie iperaccumulatrici in suoli ricchi di metalli o contaminati. Queste piante assorbono metalli come nichel, rame, cobalto, cadmio o tallio e li concentrano nei tessuti. Quando la biomassa è matura, viene raccolta e processata per isolare il metallo. Quello che rimane è un biominerale ad alta concentrazione, ideale per procedure industriali.

 

Perché le piante accumulano metalli nei tessuti?

Molte specie iperaccumulatrici si sono adattate a crescere su suoli naturalmente ricchi di metalli e poveri di nutrienti. In questi ambienti ostili (caratterizzati da alte concentrazioni di nichel, cromo, manganese e carenza di fosforo o calcio) alcune specie vegetali hanno sviluppato la capacità di tollerare e accumulare metalli nel proprio ciclo vitale. Dal punto di vista evolutivo, tali meccanismi servono da difesa da predatori e microrganismi, sostenendo l'adattamento fisiologico e la competizione in habitat difficili.

 

Tra le specie più studiate figura Odontarrhena chalcidica, nota anche come Alisso murale, impiegata ad esempio nel progetto LIFE-Agromine in alcune aree tra l'Albania e la Grecia, dove i terreni sono ricchi di nichel. Questa pianta ha dimostrato capacità di accumulare più di 100 chilogrammi di nichel per ettaro ogni anno, generando un potenziale ricavo interessante per l'agricoltore.

 

Sulla base di prove in campo condotte con specie iperaccumulatrici di nichel come Alyssum murale o A. corsicum, si può prevedere una produzione di biomassa secca compresa tra 5 e 10 tonnellate per ettaro, con un contenuto di nichel del 2%, pari a una resa di 100-200 chilogrammi di nichel per ettaro. In condizioni agricole reali in Albania è stata ottenuta una resa di 105 chilogrammi/ettaro con A. murale. Questo dato conferma i risultati di studi precedenti condotti su superfici più ridotte, compresi quelli con Streptanthus polygaloides in California che hanno raggiunto i 100 chilogrammi/ettaro, A. bertolonii in Italia con 72 chilogrammi/ettaro e Berkheya coddii in Sudafrica con 100 chilogrammi/ettaro.

 

Farming metal from plants

 

Lo studio delle piante bioaccumulatrici ha una lunga storia. L'erba storna azzurrina (Noccaea caerulescens) è in grado di estrarre zinco e cadmio, mentre Pteris vittata assorbe arsenico, mercurio e piombo. Biscutella montanina è utile per estrarre il titanio, Haumaniastrum robertii, invece, assorbe cobalto e rame. Mentre se si è in cerca di terre rare, come il lantanio, il cerio il neodimio, si può puntare su Dicranopteris linearis.

 

Il processo di estrazione dei metalli dalla biomassa

Il cuore dell'agromining risiede nella fase successiva alla raccolta: la trasformazione della biomassa in un biominerale utile per l'industria. Il primo passo prevede la combustione o la pirolisi della pianta. Nel caso di Odontarrhena la combustione riduce la biomassa concentrando il nichel nelle ceneri fino a circa 10-20% in peso.

 

Per rendere l'operazione più sostenibile si è affermata la pirolisi, un processo in assenza di ossigeno che trasforma la materia organica in biochar, gas e oli, minimizzando le emissioni di CO2. Si produce quindi energia (non molta) e un residuo secco contente i metalli di interesse.

 

Una volta ottenute le ceneri o il biochar inizia il recupero vero e proprio: attraverso un lavaggio in acido solforico, il nichel (o altri metalli) si trasferisce in soluzione. Attraverso passaggi successivi la soluzione viene purificata fino ad ottenere il metallo, utilizzabile nei processi industriali.

 

Un campo di Alisso murale in Albania

Un campo di Alisso murale in Albania

(Fonte foto: Agromine)

 

Una volta liberato dai metalli, il biochar può essere utilizzato come ammendante nel suolo, migliorando le caratteristiche del terreno e sequestrando nei campi carbonio, sottratto dall'atmosfera dalla pianta nella fase di crescita.

 

L'agromining può essere applicato in contesti molto diversificati. L'uso più immediato è la bonifica dei terreni contaminati, dove questo sistema permette la rimozione progressiva di metalli pesanti senza interventi invasivi. Parallelamente, su suoli naturalmente ricchi di metalli critici come il nichel l'agromining consente di realizzare una forma di miniere verdi, valorizzando terre altrimenti poco produttive.

 

Inoltre, campi trattati a lungo con fungicidi rameici, come nel caso dei vigneti, che possono registrare livelli elevati di rame, possono essere riportati a valori di concentrazione normali attraverso la coltivazione di piante iperaccumulatrici nell'interfila.

 

I vantaggi dell'agromining

Questo approccio offre una serie di vantaggi. In primo luogo, permette l'estrazione di metalli senza la necessità di realizzare miniere, che richiedono scavi e alterazioni paesaggistiche. Inoltre, c'è una minore impronta carbonica: le piante estraggono i metalli dal suolo sfruttando l'energia solare e la loro combustione ha un impatto carbonico pari a zero, positivo nel caso della pirolisi. Restano fuori dal calcolo i dispendi di energia legati alla coltivazione e ai processi di purificazione dei metalli, che sono comunque molto minori rispetto a quelli tipici di una miniera.

 

Lo sfruttamento di suoli marginali o contaminati permette inoltre di riutilizzare aree degradate, conferendo un valore aggiunto produttivo e ambientale. Infine, l'agromining introduce nuove fonti di reddito per agricoltori e comunità rurali, soprattutto in zone dove l'agricoltura a fini alimentari è ridotta o non sostenibile.

 

Progetti internazionali come quello della Wageningen University & Research, cofinanziato dal Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti con 1,35 milioni di euro, puntano a sviluppare cultivar geneticamente ottimizzate per ritardare la fioritura, aumentare la biomassa e migliorare l'accumulo di nichel. Allo stesso tempo, programmi europei come Agronickel e LIFE-Agromine mostrano come questa tecnologia stia abbandonando il laboratorio per approdare su scala reale in regioni come Grecia, Albania, Spagna e Francia.

 

Le criticità ancora da superare

Non mancano tuttavia le sfide. Le rese sono fortemente influenzate dalla specie utilizzata, dalle condizioni climatiche e dalle pratiche colturali adottate. Inoltre, piante che negli ambienti di origine hanno ottime performance, non è detto che si possano coltivare in altri areali, come nel caso delle specie iperaccumulatrici di rame dello Zambia, che in Europa hanno una crescita stentata.

 

In molte aree, l'iperaccumulatore tipico produce modeste quantità di biomassa: per questo si lavora su fertilizzazione mirata, associazione pianta-microrganismi e co-colture, come evidenziato dal progetto Agronickel. Interessante è la prospettiva di utilizzo delle Tecnologie di Evoluzione Assistita (Tea) per aumentare ancora di più la capacità di bioaccumulo.

 

Vi è poi il fattore filiera: una volta ottenuta la biomassa ricca di un determinato metallo, occorre lavorarla per estrarre l'elemento di interesse, questo richiede la presenza sul territorio di aziende specializzate, che possono lavorare solo se in grado di avere a disposizione ingenti quantitativi di biomassa da processare.

 

Dal punto di vista economico, infine, bisogna considerare il prezzo dei metalli. La crescente richiesta di alcuni elementi, come il nichel, utilizzato nelle batterie al litio, fa pensare ad un aumento dei prezzi nel breve-lungo periodo, ma non è detto che le quotazioni siano sufficientemente alte da rendere l'agromining redditizio, soprattutto se paragonato alle attività minerarie tradizionali, che sebbene producano esternalità negative notevoli, spesso hanno costi di produzione bassi.

 

Tuttavia, l'impegno congiunto di ricerca genetica, ottimizzazione agronomica, sviluppo di processi metallurgici sostenibili e sperimentazioni sul campo potrebbero trasformare questo approccio da pratica marginale a pilastro di un'economia circolare dal basso impatto. Con una gestione lungimirante e investimenti mirati, l'agromining potrebbe generare reddito per gli agricoltori, restaurare terre degradate e ridurre l'impatto ambientale dell'estrazione mineraria tradizionale.

Autore: Tommaso Cinquemani

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