Sementi e popolazioni evolutive, quando gli agricoltori partecipano è meglio

Cosa sono e perché aumentano resilienza e biodiversità? Ne parliamo con il genetista Salvatore Ceccarelli, che per anni ha sperimentato il miglioramento genetico partecipativo ed evolutivo. Un metodo per campi che si evolvono con i cambiamenti climatici, ormai diffuso in tutta Italia e particolarmente utile per chi pratica biologico

Sementi e popolazioni evolutive, quando gli agricoltori partecipano è meglio - Plantgest news sulle varietà di piante

Le popolazioni evolutive si sono diffuse in tutta Italia tra centinaia di agricoltori e cooperative. Nella foto la coltivazione della popolazione evolutiva Furat di frumento tenero nelle Marche

Fonte immagine: Salvatore Ceccarelli

"Il legame tra semi e cambiamento climatico è evidente, perché ai contadini serviranno piante capaci di produrre anche con temperature più alte e meno pioggia. Più avanti vedremo come mescolare potrebbe aiutare i contadini ad affrontare questo problema". A scrivere questo pensiero è il genetista agrario Salvatore Ceccarelli nel suo libro "Mescolate contadini, mescolate".

 

Insieme a sua moglie, ricercatrice, consulente internazionale e agronoma Stefania Grando, Ceccarelli ha lavorato per decenni nei Paesi del Medio Oriente e del Mediterraneo portando avanti un approccio agricolo che rimette al centro il sapere dell'agricoltore e soprattutto la biodiversità.

 

Si tratta del miglioramento genetico partecipativo ed evolutivo cioè programmi agroecologici di selezione genetica delle piante coltivate. Sono detti partecipativi perché vedono la collaborazione in campo tra agricoltori e ricercatori; sono evolutivi perché portano alla creazione di popolazioni di piante geneticamente diverse tra loro (popolazioni evolutive) che si evolvono in campo, adattandosi di anno in anno alle condizioni locali (clima, terreno, tecniche agronomiche).

 

Il miglioramento genetico evolutivo può aumentare le rese, la resistenza alle malattie, la diversità genetica e l'adattabilità di una popolazione colturale nel tempo. Una strategia che lavora contro l'uniformità, tipica delle colture moderne, selezionate per essere geneticamente omogenee e che, di conseguenza, sono più vulnerabili ai cambiamenti climatici e alle malattie.

 

In questo articolo abbiamo intervistato Salvatore Ceccarelli che ci ha spiegato come funziona nella pratica il miglioramento genetico evolutivo e come le popolazioni evolutive sono coltivate da anni in Italia.

 

Prima uno sguardo alla regolamentazione

Uno dei principali vantaggi del metodo del miglioramento genetico evolutivo è che il sistema di breeding è particolarmente adatto al miglioramento delle varietà per l'agricoltura biologica e a basso input.

 

Per anni, infatti, il settore del biologico ha sofferto la mancanza di varietà specificamente sviluppate per massimizzare le prestazioni in assenza di input chimici. Adesso non è più così.

 

Dal 1 gennaio 2022 con il Regolamento Europeo 2018/848 sull'agricoltura biologica è possibile immettere sul mercato sementi di "Materiale Eterogeneo Biologico" (Meb), da utilizzare in agricoltura biologica.


Il Meb è definito come un insieme vegetale che presenta caratteristiche fenotipiche comuni; è caratterizzato da un elevato livello di diversità genetica e fenotipica; non è una varietà; non è una miscela di varietà; è stato prodotto in regime biologico. Gli individui che compongono il Meb, quindi, non sono tra loro geneticamente omogenei, ma presentano una variabilità botanica significativa. Il Meb non è brevettabile e rientra nel dominio pubblico.
Una delle tecniche che possono essere utilizzare per la selezione o la riproduzione di Meb è proprio la creazione di popolazioni evolutive.


Si tratta di un cambiamento normativo importante, che permette di rimettere in circolazione semi non standardizzati e "potrebbe comportare benefici - come riportato nel Regolamento Europeo 2018/848 - per ridurre la diffusione di malattie, migliorare la resilienza e aumentare la biodiversità".


Come funziona il miglioramento genetico partecipativo ed evolutivo

Quando si parla di varietà locali, varietà tramandate o sapere contadino si fa riferimento ad un tipo di scienza non scritta che emerge nelle conversazioni con gli agricoltori di ogni parte del mondo. "Questi esempi ci dicono che molto prima della scoperta della genetica e molto prima del miglioramento genetico come lo conosciamo oggi, i contadini scambiavano semi, e nel fare tutto ciò mantenevano un'elevata biodiversità", scrive Ceccarelli nel suo libro.

 

"Negli anni Ottanta - racconta il genetista ad AgroNotizie® - sono andato in Siria, dove sono rimasto per 30 anni. All'inizio ho portato avanti un miglioramento genetico del tutto convenzionale. Mi avevano incaricato di lavorare sull'orzo, una specie molto importante nei Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, perché si usa come alimento animale ed è, di fatto, l'ultima cultura che si può coltivare fintanto che le piogge sono ancora sufficienti a permettere l'attività agricola".

 

Con il tempo Ceccarelli si rese conto che gli agricoltori sceglievano piante molto diverse da quelle selezionate nei centri di ricerca: alte e con paglia morbida, anziché basse e robuste. In zone aride, spiegavano, le varietà basse rischiano di diventare troppo corte per la mietitura meccanica durante gli anni siccitosi e per quanto riguarda la paglia, più è morbida e più è apprezzata dagli animali. Inoltre, il problema dell'allettamento in quei contesti non si verifica: piove troppo poco e non si usano fertilizzanti. "Fu una vera e propria lezione di miglioramento genetico, in mezzo a un campo lontano da tutto e da tutti, gratis, anzi con l'offerta di una tazza di ottimo tè", racconta nel libro "Mescolate contadini, mescolate".

 

Per conoscere meglio le esigenze e le opinioni dei agricoltori locali, Salvatore Ceccarelli ha così cominciato a sperimentare il miglioramento genetico partecipativo, prima in Siria e poi in numerosi Paesi del Medio Oriente. "Dal punto di vista scientifico, il miglioramento genetico convenzionale e quello partecipativo sono lo stesso processo - spiega in "Mescolate contadini, mescolate" - basandosi entrambi sulle leggi della genetica, ma differiscono in tre fondamentali aspetti organizzativi:

  • gli esperimenti, anziché nella stazione sperimentale, sono condotti nei campi dei contadini e gestiti dai contadini;
  • i contadini, durante il processo di selezione, partecipano con pari diritti a tutte le decisioni;
  • il programma può essere duplicato in un gran numero di località diverse all'interno dello stesso Paese e in Paesi diversi, adeguando le metodologie alle diverse colture e ai diversi Paesi".

La selezione delle piante, quindi, non avviene in condizioni controllate ma direttamente nei campi coltivati, in collaborazione con gli agricoltori.

 

"Il miglioramento genetico partecipativo semplicemente si svolgeva nei campi degli agricoltori e quindi permetteva di ridurre molto l'impatto negativo dell'interazione tra genotipo e ambiente. Non ci si poneva più la domanda 'ciò che va bene nella mia stazione sperimentale andrà bene anche nel campo dei contadini?', perché eravamo già lì. E soprattutto quella varietà si dimostrava superiore utilizzando le tecniche agronomiche che il contadino si poteva permettere. Quindi il programma aveva un'enorme flessibilità e in ogni villaggio la coltura veniva selezionata per l'uso che si faceva in quel contesto", spiega Ceccarelli.

 

Intorno al 2007 il lavoro di Salvatore Ceccarelli e Stefania Grando, che nel frattempo si era diffuso in altri Paesi del Medio Oriente e in Africa (Algeria, Tunisia, Marocco, Yemen, Iran, Etiopia, Eritrea) cominciò a incontrare ostacoli da parte delle autorità governative di alcuni Stati, tra cui Siria e Iran. "Il miglioramento genetico partecipativo, nonostante i notevoli successi, aveva un punto debole: il sostegno di un istituto di ricerca che accetti questo programma, fornisca con continuità i materiali genetici di partenza e dia il supporto tecnico necessario per le prove di campo", scrive Ceccarelli nel suo libro.

 

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Miglioramento genetico partecipativo in Iran

(Fonte: Salvatore Ceccarelli)

 

"La necessità di superare questo limite, unita con quella di trovare soluzioni rapide ed economiche al problema dell'adattamento delle colture al cambiamento climatico, mi condusse a combinare partecipazione ed evoluzione, rispolverando il concetto di miglioramento genetico evolutivo proposto nel 1956 dal ricercatore americano Suneson e quasi mai praticato".

 

E continua: "Il metodo consiste nella creazione di popolazioni o di miscugli: i primi si ottengono mescolando il seme di incroci, mentre i secondi mescolando il seme di vecchie varietà e nuove varietà (la composizione del miscuglio dev'essere discussa con i contadini o decisa autonomamente da loro); nella loro semina; nel lasciarli evolvere nelle condizioni in cui il contadino desidera coltivare le future varietà: secondo il metodo organico, biodinamico, convenzionale, in ambienti aridi, in terreni poco fertili, su pendii scoscesi, in irriguo ma con meno irrigazioni, eccetera".

 

"Si tratta quindi di un interesse nel coltivare varietà che non sono uniformi, che si basa su una scienza che data ormai quasi 100 anni. - ci spiega durante l'intervista - Leggendo questi lavori scientifici la prima reazione è meravigliarsi di come mai tutto questo non sia mai stato tradotto in pratica prima".

 

I miscugli e le popolazioni evolutive

"A quel punto - racconta Salvatore Ceccarelli - visto che grazie alle varie sperimentazioni io, mia moglie e i vari ricercatori coinvolti avevamo accumulato una grandissima diversità genetica e lavoravamo ormai con migliaia di contadini in diversi Paesi, abbiamo pensato di mandare loro semplicemente un po' di chili di un miscuglio di tutti i prodotti di incrocio che avevamo. Era il settembre del 2008 e decidemmo di mescolare tutto il seme che era rimasto, un numero uguale di semi di tutte le F2 di orzo che era rimasto e facemmo la nostra prima popolazione evolutiva di circa 1600 (esattamente 1598) incroci diversi di orzo e lo mandammo in Eritrea, Algeria, Giordania, Iran e Siria".


"Nel miscuglio c'era di tutto: varietà moderne provenienti da mezzo mondo, vecchie varietà locali da almeno una ventina di Paesi diversi, orzi a due file e a sei file, orzi a seme chiaro e a seme nero, orzi alti e bassi, orzi tardivi e precoci, e infine anche orzi derivati da incroci con l'orzo selvatico", così è descritto nel libro "Mescolate contadini, mescolate".


Si tratta di popolazioni evolutive che vengono seminate e lasciate evolvere sotto la pressione selettiva dell'ambiente, delle pratiche agronomiche e delle preferenze locali. Si dà così origine alle popolazioni evolutive dove "le piante che, in un certo anno e con certe condizioni ambientali, si trovano a loro agio producono più semi di quelle che invece si trovano in condizione di disagio. Ma se l'anno successivo le condizioni ambientali cambiano, allora le piante derivate da quelle che l'anno prima hanno prodotto pochi semi ne producono di più e viceversa: dunque una popolazione si muove, per così dire, a zig zag", dice nel suo libro Ceccarelli.

 

Vantaggi e limiti del miglioramento genetico partecipativo ed evolutivo

Le popolazioni evolutive rappresentano una risposta concreta alla crisi dell'agrobiodiversità e all'incapacità dei modelli colturali convenzionali di adattarsi alla crescente variabilità climatica.

 

"Bisogna rendersi conto - afferma Ceccarelli - che il cambiamento climatico è cosa assai più complessa del cambiamento di temperatura e di piovosità, perché quando cambiano temperature e piovosità cambiano anche insetti, malattie ed erbe infestanti. Allora, se noi non siamo in grado di prevedere con precisione di quanto cambierà la temperatura e la piovosità, non possiamo fare affidamento ad un programma di miglioramento genetico che ha un obiettivo molto nebuloso e non precisato. È qui il vantaggio delle popolazioni evolutive: loro rispondono a questo problema così complesso che noi non possiamo prevedere, con la diversità. C'è talmente tanta diversità che si evolvono continuamente e anche se il clima, con tutte le componenti di cui ho appena parlato, cambia, gradualmente anche le popolazioni evolutive hanno la possibilità di cambiare".

 

Quindi: "Se la tendenza a lungo termine muove verso temperature gradualmente più alte e verso un clima gradualmente sempre più siccitoso, le piante - delle popolazioni evolutive - che in queste condizioni crescono meglio e quindi producono più semi, diventeranno via via più numerose, cioè la popolazione evolutiva gradualmente si adatterà senza bisogno di sapere adesso quanto più caldo farà e quanto meno pioverà in futuro", spiega Ceccarelli nel libro.

 

A livello agronomico, esperienze sul campo, come quelle citate in questo articolo, dimostrano che le popolazioni evolutive possono garantire rese comparabili - e in molti casi superiori - rispetto alle varietà moderne, con minori attacchi di insetti, malattie e infestanti.

 

"Le popolazioni evolutive - spiega il genetista - fondamentalmente rendono la vita difficile alle spore di funghi che causano malattie e agli insetti. Questi, infatti, una volta entrati nella popolazione evolutiva devono andare a cercare la pianta suscettibile. Fanno molta difficoltà a passare da una pianta all'altra perché le piante sono tutte diverse e così il loro sviluppo all'interno della cultura è molto lento. Per cui, da una parte questo non provoca danni tali da richiedere l'uso della chimica, ma dall'altra i patogeni non hanno bisogno di evolversi in una razza più aggressiva. Per cui dal punto di vista ecologico è la soluzione perfetta.

Per quanto riguarda le infestanti, queste vengono soppresse. Si formano solo piantine striminzite che fanno pochi semi, in una coltura che può raggiungere gli 1,20 mentri e quindi non provocano alcun danno.

Quando ho parlato di queste cose in un convegno a cui partecipava anche Miguel Altieri, che è considerato il padre dell'agroecologia, lui mi disse 'Ma queste sono le varietà ideali per l'agroecologia!', infatti lo sono".

Leggi anche: Agroecologia: cos'è e come si fa, nella pratica

Dopo di che ci sono anche i vantaggi sociali ed economici non meno importanti. Il miglioramento genetico partecipativo ed evolutivo, infatti, si configura come un sistema decentralizzato di miglioramento genetico, in grado di produrre varietà adatte a sistemi colturali a basso input, biologici o marginali, con una tecnologia genetica a basso costo, replicabile, che promuove la sovranità sementiera e valorizza le conoscenze locali.

 

Quali possono essere invece i limiti del metodo?

Uno dei limiti pratici è che con il tempo, la popolazione può andare incontro ad una specie di collo di bottiglia di adattamento e quindi diventare progressivamente sempre più uniforme. Questo dipende dalla diversità iniziale: tanto maggiore è la diversità iniziale, tanto più lento sarà il processo di uniformazione. Ma questo dipende anche dall'andamento climatico: un clima molto costante da un anno all'altro impone anche una selezione costante. In questi casi è bene che gli agricoltori si scambino i semi a vicenda per ripristinare così la popolazione e la diversità.

 

E poi c'è un limite di natura ideologica: le popolazioni evolutive non sono materiale da brevetto. "Questi materiali, quando si vedono in campo, sono talmente diversi da ciò a cui l'agricoltura moderna ci ha abituato ormai da 50 anni, che è difficile trovare apertura da parte degli agricoltori più anziani e la prima cosa che dicono è 'Ma questo è seme selezionato?' Certo - dico io - è selezionato dalla natura. Ho trovato più apertura in agricoltori giovani che non avevano questa esperienza pregressa".

 

Le popolazioni evolutive si usano già in Italia

In Italia, le popolazioni evolutive sono già realtà da diversi anni. 

"Il miglioramento genetico partecipativo ed evolutivo è arrivato in Italia grazie a un progetto che si chiamava Solibam a cui partecipava anche l'Aiab, l'Associazione Italiana di Agricoltura Biologica. Durante un incontro mi chiesero di mandare un po' di semi. Così mandammo prima il frumento tenero, una ventina di chili che vennero dati a 3 contadini, uno in Toscana, uno in Sicilia e uno in Puglia. Il contadino toscano e il contadino siciliano coltivano quella popolazione evolutiva fino ad oggi utilizzando il loro seme".

 

Con questo progetto è stato dimostrato che le popolazioni evolutive si sono adattate specificamente alla regione in cui sono state coltivate, mostrando anche un'elevata stabilità temporale.

 

Da allora, l'espansione è stata silenziosa ma costante. Prima nelle mani di pochi pionieri, oggi nelle mani di centinaia di agricoltori e cooperative.


Un'altra esperienze è quella fatta nel Veneto dalla cooperativa El Tamiso, la quale ha seminato la popolazione di frumento tenero, che nel frattempo è stata chiamata Furat (il nome arabo del fiume Eufrate), in diverse località producendo anche un'ottima pasta. I risultati? Minore presenza di infestanti, campi puliti e farine dal profilo organolettico e nutrizionale apprezzato anche da chi ha intolleranze alimentari.


Alla cooperativa agricola Rocca Madre, nelle Marche, dal 2016 coltivano tutte e tre le popolazioni evolutive e il prodotto, con il nome di "Miscuglio di Aleppo", viene trasformato in farina, pane e pasta secondo pratiche tradizionali.


"Nel 2014 - racconta Salvatore Ceccarelli - durante un viaggio in Italia, feci una conferenza nelle Marche e il proprietario di un mulino storico rimase affascinato dalle popolazioni evolutive e decise di comprare 2 quintali di seme dal contadino siciliano. Un campione di questo seme arrivò nelle mani di una cooperativa di comunità di cui io e mia moglie siamo soci volontari e loro gradualmente cominciarono a coltivarlo. Adesso la cooperativa ha avviato una filiera per cui coltivano la popolazione evolutiva di frumento tenero, ma anche quella di frumento duro e di orzo".

 

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La pasta della cooperativa agricola Rocca Madre

(Fonte: Salvatore Ceccarelli)


"In questo momento le popolazioni evolutive sono un po' in tutta Italia. Per esempio, il Ministero dell'Agricoltura che ha attivato dei programmi di miglioramento genetico per il biologico affidandoli a diversi istituti del Crea, partendo da popolazioni evolutive. Stanno programmando popolazioni evolutive di lenticchia, ceci, cipolla e melanzana; due di pomodoro, una da mensa e una da industria sono già disponibili.

Ciò che fino a qualche anno fa era completamente illegale, in qualche modo adesso sta cominciando a entrare anche nei canali istituzionali", conclude Salvatore Ceccarelli.

Autore: Vittoriana Lasorella

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