Viti Piwi: parla chi le coltiva
Le viti Piwi uniscono resistenza alle malattie fungine, sostenibilità ambientale e qualità enologica. Le aziende le scelgono per ridurre i costi, tutelare l'ambiente e diversificare i prodotti. Ma i consumatori come rispondono?

La forte pressione delle malattie fungine costringe gli agricoltori ad intensificare i trattamenti fitosanitari (Foto di archivio)
Fonte immagine: © encierro - Adobe Stock
L'oidio e la peronospora sono i nemici storici della vite, e i viticoltori italiani lo sanno bene. Con le condizioni climatiche sempre più sfavorevoli, i produttori sono spesso costretti a intensificare i trattamenti fitosanitari per proteggere le uve. Una situazione che comporta costi elevati, maggiore impatto ambientale e, in molti casi, un calo delle rese produttive.
Per affrontare queste sfide, una possibile soluzione arriva dai vitigni Piwi, varietà selezionate proprio per la loro resistenza genetica alle principali malattie crittogamiche.
Ma come si comportano davvero in campo e in cantina queste uve? E come sta reagendo il mercato a queste novità? AgroNotizie® lo ha chiesto direttamente a chi li coltiva all'evento Irresistibile Piwi, tenutosi a Lazise (Vr) il 27 e il 28 aprile 2025.
Varietà Piwi: le scelte delle aziende
La scelta delle varietà resistenti varia molto da azienda ad azienda, ma tutte puntano su una combinazione di adattabilità agronomica, qualità enologica e coerenza con il proprio territorio di vocazione.
L'azienda Ca' da Roman (Vi) ha puntato per esempio su cinque varietà resistenti: "Tre a bacca bianca - Souvignier gris, Bronner e Johanniter - e due a bacca rossa, Regent e Cabernet Eidos" spiega il proprietario Massimo Vallotto.
Diverso l'approccio dell'azienda Le Saline (Ve), che lavora esclusivamente con Bronner in purezza, scelta fatta per via del suolo sabbioso lagunare.
"Usiamo un portainnesto che cresce a massimo 30-40 centimetri di profondità. Questo perché a 60-70 centimetri c'è la falda acquifera. Le radici devono quindi svilupparsi in orizzontale, altrimenti brucerebbero. Nonostante questo, la sapidità del suolo si percepisce nel bicchiere quando si assaggia il vino" spiega Otello Gaspari, collaboratore dell'azienda.
Robert Spinazzè dell'azienda Terre di Ger (Pn), invece ha impianti in più regioni (Friuli-Venezia Giulia, Veneto e Marche), e ha anche impiantato dei piccoli campi sperimentali privati di Piwi.
"In Friuli coltivo le varietà autorizzate dall'Università di Udine e dai Vivai Cooperativi Rauscedo. Mentre in Veneto, dove ci sono più autorizzazioni, coltivo Piwi altoatesini e tedeschi. In questo modo ho diverse vinificazioni e posso confrontare i risultati delle produzioni".
Poi il Consorzio Viticoltori Alto Appennino Emiliano (Bo), una realtà formata da quattro giovani che hanno deciso di portare i vitigni resistenti in quota, coltiva principalmente Solaris.
Anche loro valutano diversi vitigni: "Abbiamo testato Bronner e Helios, e anche alcune varietà aromatiche tra cui Solivage, Muscaris e Aromera. Non tutte queste varietà sono autorizzate in Emilia Romagna e quindi in questo momento stiamo lavorando prevalentemente con Solaris" dice Francesco Penazzi, agronomo del Consorzio.
"Ci troviamo in una zona di alta collina, vicino alla montagna, con terreni argillosi. Da un lato ci sono notti fresche e i suoli si scaldano lentamente, conservando perciò molto bene gli aromi; ma dall'altro lato c'è una quantità e una frequenza di precipitazioni molto più alta rispetto al territorio della bassa collina bolognese. - continua a spiegare Penazzi - E quindi abbiamo scelto di puntare sulle varietà Piwi, soprattutto per il ridotto impatto delle patologie, la minor entrata in vigna e per rispettare l'elevata biodiversità dell'ambiente che ci circonda".
Vini Piwi del Consorzio Viticoltori Alto Appennino Emiliano in esposizione all'evento
(Fonte: AgroNotizie®)
Le barbatelle però prima di arrivare in pieno campo passano per i vivai specializzati e/o i centri di ricerca.
Ermanno Murari, agronomo dei Vivai Cooperativi Rauscedo, ricorda che i primi passi sono stati mossi con le varietà sviluppate dall'Università di Udine: "All'inizio siamo partiti con le varietà dell'Università di Udine: due Cabernet, due Merlot, tre Sauvignon e due Tocai". A queste si sono poi aggiunti i pinot bianchi e neri sempre dell'Università di Udine.
Oggi il lavoro dell'azienda vivaistica si concentra su un ampio catalogo di nuove selezioni resistenti: Glera, Garganega, Trebbiano, Riesling. Alcune di queste, come Riesling, ha fornito in vinificazione dei risultati molto interessanti.
Anche il Civit - Consorzio Innovazione Vite lavora su selezioni performanti: "Le esigenze dei viticoltori degli ultimi anni ci hanno spinto anche ad approfondire il tema delle resistenze e stiamo facendo un grosso lavoro su più campi sperimentali di selezione" dice Vincenzo Betalli, tecnico di Civit.
Il Consorzio ha registrato sei varietà nel 2020, tra cui due incroci con Teroldego e uno con Nosiola. Oltre a queste sono state registrate due varietà ungheresi, che sono il Pinot regina e la Palma. Oggi sono in fase di registrazione selezioni derivanti da incroci con Chardonnay, Schiava e Lagrein.
"Stiamo lavorando anche su incroci che vanno dal Sangiovese al Lambrusco, fino a collaborazioni per incroci di Verdicchi, Pecorino ed altri" continua Betalli.
Micro vinificazioni di Piwi in assaggio durante l'evento del Consorzio Innovazione Vite
(Fonte: AgroNotizie®)
Insomma, nella ricerca c'è molto fermento con l'obiettivo di ampliare sempre di più la gamma varietale. Testimonianza questa di un forte investimento nella biodiversità dei Piwi.
Tra conti e agronomia
Con gli ibridi resistenti non si diminuiscono solo i trattamenti fitosanitari. I produttori, infatti, scelgono i vitigni Piwi perché influenzano anche altri aspetti.
Per Ermanno Murari, dei Vivai Cooperativi Rauscedo, il primo impatto si nota sui conti aziendali: "Il primo beneficio è il benessere dell'azienda dal punto di vista economico. Abbiamo una riduzione dei costi e già questo è un grande risultato di sostenibilità".
Per Massimo Vallotto, dell'azienda Ca' da Roman, si migliora non solo l'aspetto economico ma anche il contesto per chi opera in vigneto: "La sostenibilità deve essere certificata e concreta. Ma si traduce anche in qualità della vita per chi lavora con noi, dai collaboratori agli ospiti del nostro agriturismo".
Il minor impiego di fitofarmaci è fondamentale per Otello Gaspari, de Le Saline: "In vigneto nell'annata scorsa sono stati applicati massimo 2-3 trattamenti mirati. Questo ci permette di sapere esattamente cosa diamo al cliente e cosa arriva nel bicchiere".
Anche in condizioni climaticamente difficili, come quelle del Trentino, i vantaggi agronomici sono evidenti. Vincenzo Betalli di Civit riporta qualche dato significativo: "Nel 2024, annata molto piovosa e difficile per la gestione delle malattie crittogamiche, in un campo sperimentale Piwi abbiamo fatto solamente 4 trattamenti. A differenza invece di un campo di Pinot grigio a conduzione integrata che ne ha ricevuti 20 e un campo condotto a biologico che ne ha ricevuti 25".
Secondo Betalli, questa riduzione del numero di interventi consente all'agricoltore di dedicare più tempo ad altre attività aziendali e in contesti urbani riduce i conflitti con la popolazione, consentendo quindi una migliore sostenibilità sociale.
Francesco Penazzi, del Consorzio Viticoltori Alto Appennino Emiliano, invece pone l'attenzione sulla biodiversità ambientale: "C'è un minore impatto dei mezzi in vigneto. Il micro ambiente è più ricco, con una grande presenza di anfibi e uccelli tra le vigne". L'agronomo ha notato inoltre un effetto positivo nella gestione dell'inerbimento: si riducono gli sfalci e una gestione meno invasiva con il crimping.
Anche Robert Spinazzè, dell'azienda Terre di Ger, conferma i benefici dell'approccio Piwi, ma aggiunge che la parte agronomica è fondamentale in un vigneto di questo tipo. Il lavoro più impegnativo riguarda la gestione del vigneto, soprattutto dal punto di vista vegetativo.
"La componente della varietà selvatica, portatrice di resistenze, è a volte dominante. Serve attenzione nella gestione del verde, quindi alle potature, ai diradamenti, alle sfogliature e così via. Tutto richiede più cura per portare a maturazione perfetta le uve". La gestione agronomica perciò, pur permettendo un risparmio sui trattamenti, richiede un impegno maggiore in campo.
Infine, Spinazzè sottolinea che bisogna tenere conto del costo più alto delle barbatelle resistenti rispetto a quelle tradizionali.
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Vinificazione: tecnica invariata, uve da capire
In questo contesto quando si parla di vinificazione una domanda può sorgere spontanea: le uve resistenti si vinificano come quelle tradizionali? Le risposte raccolte tra i produttori mostrano un quadro variegato, ma in generale positivo, con alcune precisazioni tecniche.
"Vinifichiamo nello stesso modo un Merlot tradizionale e un Merlot Khorus. Non cambiamo lieviti, ciclo di pressatura o affinamenti" dice Ermanno Murari.
Micro vinificazioni sperimentali dei Vivai Cooperativi Rauscedo in esposizione all'evento
(Fonte: AgroNotizie®)
"Ogni varietà ha le sue peculiarità. Alcune sono molto interessanti per la spumantizzazione, perché mantengono meglio l'acidità rispetto alle varietà tradizionali, messe oggi in difficoltà dal cambiamento climatico" dice Vincenzo Betalli. La sfida secondo il tecnico non è tanto nei protocolli di vinificazione, ma nella curiosità dell'enologo nello sperimentare per valorizzare le uve.
"Una volta che porti un'uva Piwi matura in cantina, poco cambia rispetto a una convenzionale. La vera differenza è in vigneto: devi lavorare con attenzione per gestire la vegetazione e garantire la qualità del frutto" spiega Robert Spinazzè, confermando che i protocolli in cantina non variano però è importante arrivare alla vinificazione con grappoli perfettamente maturi.
In poche parole, la qualità finale del vino Piwi dipende molto dalla scelta varietale, dalla maturazione delle uve e dalla capacità dell'enologo di interpretare la materia prima. E non tanto dalla tecnica di vinificazione in sé per sé.
Vini di qualità, ma serve informazione
Le potenzialità dei vitigni resistenti sono riconosciute da chi li produce e vinifica. C'è ancora però del lavoro da fare a livello culturale e comunicativo per fare conoscere questi vini al consumatore.
"La risposta è lenta, perché c'è un problema di comunicazione. Molti consumatori fanno confusione tra Piwi e Ogm, e anche tra transgenesi e cisgenesi. - dice Spinazzè - È fondamentale superare i pregiudizi legati ai primi anni di sperimentazione, quando i vini Piwi venivano vinificati da realtà inesperte. Oggi la situazione è cambiata: le cantine che lavorano i Piwi con metodo ed esperienza stanno ottenendo vini di ottima qualità".
"È ancora molto presto. Il consumatore ancora non lo sa che cosa sono i Piwi. La percentuale di chi li conosce è bassissima" aggiunge Murari confermando che la comunicazione rimane una sfida aperta per i viticoltori.
Massimo Vallotto invece descrive più una situazione di transizione: "La risposta è tiepida, ma in un crescendo di interesse. Alla fine, il vino deve essere buono, l'assaggio rimane la chiave per fidelizzare il consumatore". Anche lui sottolinea l'esigenza di sfatare alcuni pregiudizi e di comunicare meglio la differenza fra Piwi e Ogm.
Esperienze più positive si hanno da Francesco Penazzi del Consorzio Viticoltori Alto Appennino Emiliano, e Otello Gaspari dell'azienda Le Saline.
"Noi vendiamo metà al privato e metà alla ristorazione. Sto facendo molta promozione, anche con amici ristoratori ed enoteche. C'è molto interesse: continuano a telefonare per avere questo vino" spiega Gaspari. Il legame con il paesaggio lagunare e una produzione artigianale secondo Gaspari aiutano a differenziare il prodotto e ad attrarre curiosità.
"La risposta dei consumatori è molto buona. Il profilo aromatico dei nostri vini colpisce e lo valorizziamo insieme al contesto biodiverso in cui li produciamo" dice Penazzi.
Chi scrive può confermare l'ampia partecipazione alla manifestazione Irresistibile Piwi: un'indicazione dell'interesse del pubblico e delle potenzialità di questa branca della viticoltura.
Piwi: fra resistenza e aromaticità
I vitigni Piwi nascono da un incrocio interspecifico, cioè tra specie diverse di vite: da un lato una Vitis vinifera pura, dall'altro una varietà che porta nel proprio patrimonio genetico tratti di vite americana o asiatica. Da questa unione si ottengono piante "figlie" che hanno le caratteristiche positive dei due genitori.
In pratica, si seleziona un materiale che sia enologicamente valido, come Vitis vinifera, e che abbia ereditato la resistenza alle malattie crittogamiche.
"La resistenza è un'azione che la foglia attua nel contrastare la malattia. Quindi si ha un'azione biochimica in risposta alla malattia fungina, che poi è quello che effettivamente vediamo sull'organo fogliare" spiega Murari.
"L'uva prodotta deriva da un'ibridazione diretta, quindi da un ‘matrimonio' tra una varietà classica e un portatore di resistenza - continua Murari -. In questo caso geneticamente si ottiene il lussureggiamento dell'ibrido, che vuol dire che se i due genitori hanno qualche piccolo difetto la progenie molto spesso lo corregge".
Il lussureggiamento dell'ibrido si nota bene per esempio nei Pinot bianchi Piwi. Questi hanno infatti superato alcuni limiti tipici delle varietà tradizionali, come la dimensione e la compattezza del grappolo e un ciclo vegetativo troppo breve. I nuovi Pinot bianchi resistenti presentano grappoli più grandi, che passano da circa un etto e mezzo fino a due etti e mezzo, e un ciclo vegetativo che si estende dai 90 ai 120 giorni. Questo allungamento del ciclo consente una una maturazione più completa, maggiore espressione in aromi e una qualità enologica superiore.
Il miglioramento genetico quindi ha affinato queste selezioni. Oggi si costituiscono Piwi con oltre il 90% di genoma di Vitis vinifera, e di conseguenza mantenendo un'elevata qualità enologica.
Ma non si parla solo di resistenza agli stress biotici. Alcune di queste varietà (dipende dal Piwi) mostrano anche una buona tolleranza agli stress abiotici, come caldo e siccità.
"Come succede per i vitigni tradizionali, ci sono varietà più tolleranti e altre meno tolleranti" spiega Betalli.
Proprio per questo oggi i breeder selezionano i caratteri target pensando al clima che cambia: vitigni che maturano più tardi, che mantengono meglio l'acidità e che possono affrontare estati sempre più calde.
"Nel 2022, con le alte temperature, lo Chardonnay ha avuto un crollo dell'acidità. Un problema serio per chi lo usa come base spumante. Per questo cerchiamo varietà che possano reggere meglio queste nuove condizioni" conclude Betalli.
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Autore: Chiara Gallo