Che cos'è la bioforca e come si usa?
Tutto quello che c'è da sapere sull'attrezzo che rispetta il suolo e aiuta a rigenerarlo, lavorando in profondità senza rivoltare le zolle. Nell'articolo i consigli del tecnico Matteo Mazzola

La bioforca si compone di denti robusti e manici lunghi: si infila nel suolo con il peso del corpo e si inclina per sollevare la terra, senza girarla
Fonte immagine: Iside Farm
Per chi pratica agricoltura rigenerativa, la bioforca è un must have per la cura del suolo e il mantenimento della sua fertilità. In generale, si tratta di uno strumento che tutti possono utilizzare nel proprio orto, sia a livello hobbistico che per orti grandi e professionali.
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Intuitiva, ergonomica e silenziosa, consente di lavorare i letti di coltivazione senza fare tanta fatica ma soprattutto senza rivoltare le zolle, rispettando la struttura del suolo e la sua vitalità biologica.
Infatti, a differenza dell'aratro o di altri mezzi meccanici che disturbano gli strati del terreno, la bioforca lavora in profondità senza invertire gli orizzonti. Apre corridoi d'aria migliorando l'infiltrazione dell'acqua, favorendo la decomposizione degli apparati radicali delle colture precedenti e preparando un ambiente fertile per quelle successive.
La bioforca si compone di denti robusti e manici lunghi: si infila nel suolo con il peso del corpo e si inclina per sollevare la terra, senza girarla.
Abbiamo intervistato Matteo Mazzola, perito agrario e consulente tecnico di agricoltura rigenerativa e sistemi agroecologici integrati. Nella sua azienda agricola, Iside Farm, che si trova a Sulzano (provincia di Brescia), Matteo e i suoi soci utilizzano quotidianamente la bioforca e producono e vendono anche dei modelli propri.
L'azienda agricola Iside Farm
(Fonte: Iside Farm)
Caratteristiche tecniche e differenze tra i modelli
"È un attrezzo che non ha alternative sulla piccola e media scala, quando non si vuole fare la classica lavorazione meccanica". Spiega Matteo Mazzola, che racconta come questo strumento è cambiato nel tempo: "La bioforca è l'evoluzione della forca vanga, non quella impiegata per il fieno ma quella con i denti più grossi, chiamata in inglese anche digging fork. Gli inglesi l'hanno sempre adoperata molto per raccogliere le patate e le radici come carote, pastinaca e rutabaga. In seguito, l'utilizzo della forca vanga è stato promosso da diversi metodi di agricoltura naturale e la forma si è evoluta. In particolare, è diventata più larga per ottimizzare i tempi di lavoro, così da riuscire a lavorare l'intera larghezza di un letto, invece di dover fare più passaggi".
Oggi si utilizzano tanti nomi per chiamare questo strumento come broadfork, bioforca, forca biointensiva, grelinette. Bioforca è la traduzione di broadfork nata negli Stati Uniti, mentre la grelinette è un tipo di bioforca inventata da André Grenin nel 1960. Il principio è sempre lo stesso: ossigenare il suolo senza capovolgere gli strati, rispettandone la struttura e agevolando l'attività radicale e microbiologica.
"Tendenzialmente la bioforca viene fatta o in ferro o in legno. I modelli variano per dimensione, forma, tipologia di denti e loro posizione e forma dei manici. La differenza sostanziale sta più tra l'utilizzo hobbistico e l'utilizzo semiprofessionale o professionale. Per esempio, il professionista ha bisogno di un attrezzo più resistente, ergonomico e che ottimizzi la fatica e le ore di lavoro".
La bioforca di Iside Farm, progettata da Matteo Mazzola, nasce da un'esigenza pratica: "Ho cominciato a produrla nel 2013 facendo un modello da 40 centimetri, con denti sostituibili. Sul mercato non c'erano modelli di questo tipo. Ho cominciato a produrla per me, perché non c'era un attrezzo che mi piaceva, abbastanza ergonomico e destinato ad un utilizzo continuo. Ho cominciato così a saldare e sperimentare fino ad arrivare ad un modello definitivo, anche se in realtà è in continua evoluzione, perché più lo utilizzi più ti accorgi di determinati aspetti e nascono nuove idee per nuovi modelli".
(Fonte: Iside Farm)
Oggi la sua linea include 3 modelli principali. Il primo è la biforca: "Ha un manico particolare composto da un unico stelo molto lungo per facilitare i lavori, senza dover entrare nel letto di coltivazione. La biforca è utile per raccogliere le radici e le patate, ma anche per dissodare la striscia di un letto dove abbiamo una policoltura. È stretta 30-35 centimetri e permette, in maniera agevole, di lavorare dappertutto".
Matteo Mazzola commercializza anche un altro modello da 60 centimetri, a due manici, più maneggevole per orti misti e lavorazioni ripetute, e un terzo modello da 80 centimetri ideale per letti standard da market gardening.
Il punto di forza di queste forche sta nel fatto che i denti si possono cambiare: "Questa caratteristica permette sia, semplicemente, di sostituire un dente nel caso si guasti, sia di cambiare i denti a seconda delle caratteristiche del proprio terreno e della fatica che si vuole fare.
Per esempio, per lavorare suoli molto pesanti e compatti si possono rimuovere i denti laterali o togliere i denti in maniera alternata o utilizzare denti più corti. In questi casi ci vorrà un po' più di tempo per rigenerare il suolo, ma si farà meno fatica".
"Per questo - continua Matteo - il nostro modello è capace di evolvere insieme all'incremento della fertilità e della rigenerazione del suolo. Infatti, man mano che il suolo si rigenera in profondità e diventa sempre più soffice, si sostituiscono i denti con quelli più lunghi per riuscire a rigenerare orizzonti di suolo sempre più profondi".
I denti delle bioforche dell'azienda Iside Farm si possono cambiare a seconda delle caratteristiche del proprio terreno e della fatica che si vuole fare
(Fonte: Iside Farm)
Come si usa la bioforca e quando
Si mantiene l'attrezzo dritto, si impugna dai manici e si sale sopra. Una volta che i denti sono nel terreno, si tirano indietro i manici e grazie all'incurvatura dei denti, la zolla di terreno si alza e si ossigena il suolo. Dopo aver sollevato la bioforca, ci si sposta di una trentina di centimetri all'indietro e si conficca di nuovo nella terra.
Questo è il principio di base per utilizzare la bioforca.
Guarda il video dell'azienda Iside Farm su come utilizzare la bioforca
Ma per ottenere i veri risultati è fondamentale lavorare in sinergia con tutte le altre pratiche agronomiche. "Elogio alla sostanza organica in tutte le sue forme: compost, vermicompost, letame o digestato solido ben decomposto, eccetera. Tutta la sostanza organica che si può utilizzare - spiega Matteo Mazzola - la si utilizza posizionandola in superficie. Si copia dal bosco e dai sistemi naturali, perciò la sostanza organica nel sottosuolo è composta dalle radici, dagli essudati radicali e dall'attività microbica. In superficie, invece, creiamo questo ambiente accogliente per le piantine trapiantate o per il seme".
Sopra la sostanza organica ci vuole la pacciamatura: "Può essere di materiale compostabile, plastica, carta, cippato, fieno, paglia, foglie, erba del giardino. Servirà a proteggere la sostanza organica dalle alte temperature e dall'eccessiva ossidazione e a ridurre l'erosione e la lisciviazione".
Per il tecnico Mazzola, è fondamentale anche la densità di trapianto e semina: "La densità deve essere alta per avere più radici possibili nel suolo. Vanno bene, per esempio, trapianti a settonce oppure delle consociazioni spaziali, per sfruttare meglio lo spazio tra colture basse come insalata, coste, sedani, rucola, indivie, barbabietole e colture verticali come pomodoro, cetriolo, melone, anguria e zucchina (se la si fa in verticale)".
L'alta densità di semina e trapianto serve a sfruttare meglio lo spazio e arricchire il suolo di radici
(Fonte: Iside Farm)
E dopo ogni coltura, non si lascia mai il letto vuoto. Si trinciano i residui con attrezzi leggeri e si ripassa con la bioforca, quando serve, per ossigenare e dopo si semina una cover crop: "In questo modo, le radici delle colture arrivate alla fine del loro ciclo rimangono nel suolo. Noi utilizziamo una trincia della larghezza del letto, portata da un motocultivatore con il passo tra una ruota e l'altra della larghezza del letto, così che la macchina non compatti il prezioso lavoro che è stato fatto sia dalla bioforca che dalle radici delle piante.
Dopo aver trinciato i residui culturali, mettiamo il compost, passiamo la forca per favorire l'infiltrazione dell'ossigeno e la decomposizione delle radici delle culture precedenti, copriamo di nuovo con pacciamatura e trapiantiamo. Tra una coltura e l'altra possiamo seminare la cover crop, che può essere devitalizzata con un roller crimper oppure trinciata e riaggiunta come sostanza organica".
Come ricorda Matteo Mazzola, la bioforca non è pensata per la prima lavorazione di un terreno pesante o incolto. "Si tratta di un attrezzo che agevola, asseconda e accompagna una gestione del suolo più gentile. Poi, in base alla tipologia di suolo, al livello di sostanza organica e alla gestione agronomica, la bioforca potrà essere utilizzata con una certa frequenza, profondità e frequenza di inforcate (invece di un'inforcata ogni 20 centimetri, se il suolo è più compatto si può fare una inforcata ogni 10 centimetri).
L'importante è che la bioforca non venga vista come la sostituzione di una lavorazione preparatoria, soprattutto se si tratta di un suolo mal gestito. Infatti, l'utilizzo della bioforca va di pari passo con una maggiore consapevolezza del suolo e della sua fertilità. Se si usa per sostituire la vanga o la fresa, si utilizzerà una quantità di energia incredibile. E in agricoltura rigenerativa e in agroecologia, quello che si cerca di fare è proprio cercare di essere efficaci senza sprecare energie; anche perché l'utilizzo di una forza eccessiva per raggiungere un obiettivo è sintomo di un sistema che non sta funzionando.
Se l'obiettivo è un'agricoltura minimum tillage o che vada verso il no till, si può utilizzare la biforca successivamente ad una coltura o a una cover crop".
Infine, Mazzola sottolinea che utilizzare la bioforca vuol dire mettere in moto una serie di processi biologici che, da soli, richiederebbero molto più tempo.
L'ossigeno è fondamentale per decomporre gli apparati radicali delle colture precedenti. Inoltre, una carenza può produrre dei processi anaerobici eccessivi che possono far partire più facilmente popolazioni di organismi patogeni.
Quando si infilano i denti della forca in profondità e si solleva leggermente la zolla, si arieggia il profilo senza disturbarlo. Le radici morte si decompongono più in fretta, lasciando spazio a quelle nuove. Le colture successive si ritrovano un suolo già lavorato, con canali esplorabili, ossigenati, capaci di trattenere acqua e nutrienti.
"Sono le radici che fanno il lavoro di rigenerazione del suolo, insieme ai microrganismi. Con la bioforca si decompatta il suolo se ce n'è bisogno, o comunque si agevola il processo di decomposizione della sostanza organica", afferma Matteo Mazzola.
La bioforca cambia radicalmente il modo in cui si interpreta la lavorazione. Non si lavora il suolo per modificarlo, ma per renderlo più adatto alla vita che contiene. "È questa la cosa bella - continua Mazzola - che rispetto al classico concetto di lavorazione del suolo in cui l'attrezzo e la tecnologia sostituiscono la biologia e l'ecologia; qui questi elementi si intrecciano per cui la tecnologia lavora in funzione dell'ecologia e della biologia. È un potenziamento che può anche essere temporaneo, perché quando si raggiungono dei buoni livelli di sostanza organica, la bioforca potrà essere utilizzata di meno".
Consigli per utilizzare la bioforca
La bioforca non è più uno strumento di nicchia. Sta diventando sempre più diffusa tra orticoltori consapevoli, aziende agricole rigenerative e hobbisti attenti alla fertilità del suolo.
"È un attrezzo che, quando ci prendi la mano e il suolo è abbastanza rigenerato, permette di lavorare in 6-7 minuti 50 metri lineari per 90 centimetri di larghezza di letto di coltivazione.
Per cui non è un attrezzo tipico di una azienda agricola monocolturale. In quei casi si possono usare dei macchinari da trattore, come dei ripuntatori più fini con dischi di pretaglio che non muovono eccessivamente la zolla. C'è anche un'azienda che ha cominciato a meccanizzare la bioforca per i motocoltivatori. È ovvio che la precisione chirurgica della bioforca non è raggiungibile in questo modo".
Come già accennato, se si vuole cominciare a rigenerare un suolo che è molto rovinato non bisogna pensare di risolvere tutto e subito con la bioforca. "In questi casi - afferma Mazzola - bisogna lavorare il suolo con una motozzappa, fare una ripuntatura o una fresatura molto superficiale o anche utilizzare l'aratro. Dipende da contesto a contesto, ma se l'aratura è utilizzata con intelligenza non è un male e soprattutto permette di cominciare l'anno zero senza troppi problemi. Questi attrezzi si possono utilizzare all'inizio, dopo non ce ne sarà più bisogno. Noi ad Iside Farm sono 7 anni che non utilizziamo più la fresa, la motozappa o l'erpice per preparare il suolo.
Se si tratta di un campo con dell'erba, si possono utilizzare teli da occultamento che soffocano la vegetazione esistente e gli apparati radicali presenti si decompongono, attirano lombrichi e favoriscono la formazione di aggregati più soffici".
Matteo Mazzola utilizza la bioforca dal 2008: "Noi dopo solo 2-3 anni di corretta gestione del suolo, abbiamo notato che la bioforca andava sempre più in profondità. È da lì che è nata l'idea di una bioforca con diversi tipi di denti.
Prima abbiamo aggiunto dei denti con lunghezza media, poi abbiamo tolto quelli corti sostituendoli con i medi e aggiunto dei denti più lunghi. Adesso ci ritroviamo nelle condizioni dove i denti più lunghi vanno in profondità facilmente nei terreni più rigenerati e potenzialmente dovrebbero essere sostituiti. Questo vuol dire che dovremmo farci dei denti da 45 centimetri di lunghezza.
Da qui si capisce che se il suolo è rigenerato: così come noi non facciamo fatica per entrare con la forca in profondità, anche la pianta non fa fatica per crescere in profondità. In questo modo aumenta la superficie dove la pianta può ricercare acqua e nutrienti.
Questo va anche di pari passo con il discorso dei cambiamenti climatici: più qua fuori diventa problematico, più dobbiamo creare le condizioni per le piante affinché riescano ad utilizzare il suolo anche più in profondità, dove è meno suscettibile alle alte temperature e agli stress".
Un altro consiglio che Matteo dà è quello di non forzare mai: "Dal dopo guerra, in agricoltura sono stati sostituiti i servizi e le funzioni degli elementi del paesaggio con mezzi tecnici e tecnologie. È importante adesso tornare a capire come possiamo aiutare la natura e gli elementi del paesaggio a svolgere la funzione che hanno svolto per milioni di anni, anche con l'aiuto della tecnologia. Per cui, non bisogna comprare la bioforca solo perché si vuole fare l'orto in un certo modo, ma perché c'è bisogno di assecondare le necessità del suolo, affinché produca meglio e generi servizi ecosistemici.
Bisogna spostarsi da un atteggiamento consumistico compulsivo ad uno più ragionato. Ci sono dei casi in cui qualcuno compra la bioforca e dice che non funziona. Non è così, è che la si usa in maniera sbagliata. Infatti, ciò che suggerisco sempre è di fermarsi appena si fa fatica. Se si raggiunge solo una certa profondità non è colpa della bioforca ma è perché non si è lavorato abbastanza con la sostanza organica, le rotazioni, gli avvicendamenti e la colonizzazione delle radici, perciò il suolo non ha la capacità di autosostenersi.
In questo modo, alcuni suoli si rigenereranno un paio di centimetri all'anno, altri invece, più semplici, si rigenereranno 10-15 centimetri all'anno. Sono il tempo e la ricchezza delle pratiche che fanno da contorno alle lavorazione che si possono fare e che portano a migliorare il suolo".
Autore: Vittoriana Lasorella