Una vertical farm di successo? Dipende da tre variabili

Durante VertiFarm 2024, l'evento internazionale dedicato al vertical farming e organizzato quest'anno dall'Università di Bologna, sono stati analizzati limiti e potenzialità dell'agricoltura verticale. Sviluppo tecnologico, costo dell'energia e mercato di riferimento sembrano oggi essere le tre variabili cruciali per il successo del settore

Una vertical farm di successo? Dipende da tre variabili - Plantgest news sulle varietà di piante

Si è tenuta a Bologna l'edizione 2024 di VertiFarm (Foto di archivio)

Fonte immagine: © Yein Jeon/Wirestock - Adobe Stock

Il 2023 è stato un anno difficile per il settore del vertical farming, con chiusure di numerose aziende in giro per il globo. Il motivo principale? L'insostenibilità economica del business, che si basa su una tecnologia che (per ora) ha dei costi di produzione che non sono competitivi rispetto all'agricoltura convenzionale.

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Sul finire dell'anno però il comparto ha dato segni di ripresa e VertiFarm 2024, l'evento annuale organizzato sotto l'egida dell'International Society for Horticultural Science (Ishs) e dedicato proprio al vertical farming, è stato l'occasione per fare il punto della situazione.

 

L'edizione 2024 è stata organizzata dall'Università di Bologna e l'evento ha richiamato nel nostro Paese centinaia di esperti del settore, tra ricercatori, startupper, imprenditori e appassionati, che durante quattro giorni di incontri hanno provato a fare il punto sullo stato dell'arte della tecnologia e sulle prospettive future.

 

"Il vertical farming è una industria relativamente giovane e le tecnologie che oggi utilizziamo stanno evolvendo molto velocemente", ci racconta il professore Francesco Orsini, che insieme alla ricercatrice Giuseppina Pennisi, entrambi dell'Università di Bologna, ha organizzato l'evento.

 

"Il consumo di energia è sicuramente un elemento critico, su cui però si sta facendo molta ricerca. Ma nonostante questo il vertical farming è una tecnologia che può essere interessante per molte applicazioni, anche a livello di ricerca, ed è in grado di soddisfare precisi mercati, nonché di supportare l'uomo nella conquista dello spazio".

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Vertical farming, una questione di distanze

Un dato è rimasto impresso alla platea: 800 chilometri. Sarebbe questa la distanza oltre la quale una vertical farm che produce insalate in Svezia diventa competitiva rispetto al prodotto cresciuto in serra e trasportato via tir. Questa distanza cambia ovviamente da Paese a Paese e nel corso del tempo, ma dà un'idea di come il vertical farming diventi sostenibile, anche dal punto di vista ambientale, tanto più ci si sposta dagli areali che sono naturalmente vocati alla coltivazione di insalate.

 

Già, le insalate. Ma perché ci si è concentrati su questa tipologia di prodotti? "Perché si tratta di colture a ciclo breve e taglia bassa, perfette per la crescita in strutture modulari che si sviluppano in altezza. Inoltre hanno un elevato harvest index, hanno cioè una basso scarto, e una percentuale di sostanza secca sul peso totale non elevata", sottolinea Orsini.

 

I dati presentati parlano di 70 chilogrammi di prodotto vendibile a m2 all'anno per la lattuga, contro i 30 del pomodoro. Pomodoro in cui la parte edibile è una percentuale scarsa rispetto all'intera pianta e il più elevato contenuto di sostanza secca nelle bacche richiede una maggiore quantità di energia. Ancora peggiore è la situazione per i cereali, dove si aggiunge anche lo scarso prezzo di vendita.

 

Anche su questo fronte però si sta facendo molto, con la selezione di piante di frumento o di riso a taglia bassa, che potrebbero adattarsi bene a crescere nelle vertical farm, magari non sulla Terra, ma certamente sulla Luna o su Marte. Come infatti raccontato suggestivamente da Stefania De Pascale, docente di Orticoltura presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, se l'uomo intende colonizzare lo spazio avrà bisogno del vertical farming per fornire cibo agli astronauti durante i lunghi viaggi interplanetari o nelle colonie che un giorno forse sorgeranno su avamposti spaziali.

 

Anche in questo caso, in fondo, è una questione di distanze. La stazione spaziale internazionale ruota intorno alla Terra a circa 400 chilometri di altezza ed è abbastanza facile da rifornire con cibo e acqua. Ma già pensare di portare regolarmente rifornimenti sulla Luna, distante 384mila chilometri, diventa difficile. E impensabile se si vuole raggiungere Marte, lontano in media 228 milioni di chilometri.

 

Ma agli astronauti le piante non forniscono solo cibo fresco, nutriente e di qualità. Sono anche un elemento di benessere psicofisico e un tassello fondamentale per creare un sistema biorigenerativo, in cui i vegetali lavorano per riciclare gli scarti biologici prodotti dall'uomo (come anidride carbonica, feci e urina) per produrre beni primari, come ossigeno ed alimenti.

 

From vertical to space farming (and back)

From vertical to space farming (and back)

(Fonte foto: Tommaso Cinquemani - AgroNotizie®)

 

Vertical farming, una questione di energia

Uno dei principali punti deboli del vertical farming è il consumo di energia elettrica. I costi di illuminazione possono arrivare a cubare il 60% dei costi energetici totali, seguiti dal condizionamento, che può arrivare al 46%, e dalle altre operazioni (come l'azionamento delle pompe) che invece si fermano all'1-3%. Circa 1.100-1.800 kWh al m2, secondo i dati presentati da Giuseppina Pennisi.

 

D'altronde, fatto 100 il consumo elettrico delle lampade led, solo il 55-65% viene trasformato in luce e solo il 15-25% viene assorbito dalle piante e solo l'1-2% viene effettivamente usato per produrre composti biologici. Insomma, ci sono ampi margini di efficientamento.

 

Su specie come le insalate i costi energetici possono avere un impatto del 19% sui ricavi, ma se si guarda al pomodoro la percentuale sale al 39%. E i numeri schizzano in alto se si considerano i picchi di prezzo che si sono visti nel 2022, dove la bolletta per produrre insalata è arrivata ad assorbire il 45% dei ricavi.

 

Uno dei principali punti deboli del vertical farming è il consumo di energia elettrica

Uno dei principali punti deboli del vertical farming è il consumo di energia elettrica

(Fonte foto: Tommaso Cinquemani - AgroNotizie®)

 

L'Italia è poi particolarmente svantaggiata su questo fronte, poiché abbiamo un costo dell'energia elevato. Produrre 1 chilo di insalata da noi costa, dal punto di vista energetico, 2,68 euro al chilogrammo. Una enormità se paragonato ai 53 centesimi dei Paesi del Golfo o ai 71 cent degli Usa.

 

Costo energetico e distanze da percorrere sono, come abbiamo visto, due fattori cruciali che identificano aree del pianeta particolarmente interessanti per lo sviluppo del vertical farming. Ad esempio i Paesi del Golfo hanno costi energetici bassi e mancanza di terra coltivabile. Come anche quelli del Nord Europa, che hanno bollette meno salate, ma climi rigidi. Fattori che rendono questi mercati interessanti per chi produce in vertical farm.

 

Vertical farming, una questione di efficienza energetica

Se l'energia risulta essere uno dei costi principali è ovvio che molta parte della ricerca si stia muovendo verso lo sviluppo di tecnologie che siano in grado di efficientarne l'utilizzo.

 

Luci a led che migliorano il tasso di trasformazione dell'elettricità in luce utilizzabile dalle piante. Strutture di crescita che favoriscono l'assorbimento. L'emissione di specifiche lunghezze d'onda, utili per accorciare i cicli e incrementare le produzioni. Ma anche piante migliorate geneticamente, tramite le Tecnologie di Evoluzione Assistita (Tea) e non, che siano in grado di utilizzare percentuali elevate dell'energia che colpisce le foglie.

 

Actual experiments from AlmaVfarm

Actual experiments from AlmaVfarm

(Fonte foto: Tommaso Cinquemani - AgroNotizie®)

 

D'altronde se in natura la luce solare è gratuita, nelle vertical farm ha un costo elevato e dunque vanno ridotti gli sprechi, rendendo più efficienti tutti i processi produttivi, anche biologici.

 

Lo sviluppo di fonti di energia rinnovabile è una strada che può essere percorsa, anche se su questo fronte occorre sempre considerare che la superficie a pannelli fotovoltaici necessaria per alimentare 1 metro quadro di vertical farm aumenta con l'aumentare della latitudine. E infatti se a Stoccolma servono 10 m2 di pannelli ogni m2 di vertical farm, a Doha ne bastano 3,8, mentre a Bologna 5,6.

 

Nelle vertical farm bisogna rendere più efficienti tutti i processi produttivi

Nelle vertical farm bisogna rendere più efficienti tutti i processi produttivi

(Fonte foto: Tommaso Cinquemani - AgroNotizie®)

 

Vertical farm, un settore ancora in fermento

Nonostante le battute d'arresto registrate nel 2023, il settore del vertical farming, anche in Italia, è in fermento e cresce. I partecipanti a VertiFarm 2024 hanno ad esempio avuto la possibilità di visitare l'impianto di produzione di Agricola Moderna a Milano, startup che ha incassato 31 milioni di euro per realizzare un nuovo impianto in Lombardia.

 

Ma durante l'evento bolognese erano diverse le startup presenti. Molto interessante ad esempio è il progetto di ScalaBox Farm, che ha applicato il concetto di modularità al vertical farming, creando dei container all'interno dei quali c'è tutto il necessario per la crescita di funghi, ma potenzialmente di qualunque altra coltura, come insalate, fragole o erbe aromatiche.

 

Un modulo di produzione di ScalaBox Farm

Un modulo di produzione di ScalaBox Farm

(Fonte foto: Tommaso Cinquemani - AgroNotizie®)

 

La veronese Hangar Lab sviluppa sistemi di illuminazione intelligenti. Una delle tecnologie portate a VertiFarm 2024 è stata un impianto led in grado di illuminare le colture con molteplici lunghezze d'onda, a seconda delle esigenze delle diverse specie nei diversi stadi fenologici. E per le serre la tecnologia di Hangar Lab permette di avere un sensore che misura l'irraggiamento solare e modula l'accensione delle lampade, sia a livello di potenza che di lunghezza d'onda, per compensare (ad esempio in inverno) un eventuale sottoirraggiamento solare.

 

Tectum Garden è invece uno spin off dell'Università Autonoma di Barcellona che sviluppa sistemi idroponici per l'agricoltura urbana, mentre la startup bolognese Aquaponic Design ha sviluppato un innovativo sistema modulare per realizzare delle torri di crescita che mantengono una riserva d'acqua a disposizione delle radici per eliminare il rischio di stress.

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Questo articolo è stato modificato dopo la pubblicazione in data 24 gennaio 2024. Nello specifico è stata modificata la cifra incassata da Agricola Moderna 

Autore: Tommaso Cinquemani

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