Fico, vite e olivo: adattarsi al clima che cambia

Le tecniche colturali non sono solo strumenti di gestione, ma vere e proprie leve di adattamento climatico, in grado di influenzare numerosi parametri fisiologici. Il futuro della frutticoltura passa anche da qui: tra impianto, potatura e tecnologia

Fico, vite e olivo: adattarsi al clima che cambia - Plantgest news sulle varietà di piante

La crisi climatica e i patogeni portano la frutticoltura a ripensare i propri modelli colturali (Foto di archivio)

Fonte immagine: © barmalini - Adobe Stock

La moderna frutticoltura è segnata dalla crescente scarsità idrica e dalla pressione dei patogeni che portano a ripensare i modelli colturali usati fino ad oggi. Si aprono perciò nuove prospettive sull'impianto, la gestione e il monitoraggio per le arboree da frutto.

 

Durante la quindicesima edizione delle Giornate Scientifiche della Società di Ortoflorofrutticoltura Italiana, tenutasi a Pisa dal 25 al 27 giugno 2025, nella sessione intitolata "Innovazioni nei sistemi di impianto e nelle tecniche colturali delle specie arboree" i ricercatori hanno presentato diversi studi su innovative tecniche agronomiche, per rispondere alle condizioni climatiche sempre più sfidanti.

 

Dalla sperimentazione di nuove forme di allevamento e densità per il fico alla valutazione dell'efficacia della potatura estiva dell'olivo in ambienti siccitosi, fino allo sviluppo di strumenti digitali per l'osservazione continua dell'apparato radicale e all'uso strategico della defogliazione apicale nella vite. In questo articolo AgroNotizie® riporta gli interventi che hanno messo in luce soluzioni interessanti per migliorare l'efficienza colturale, ottimizzare l'uso delle risorse e garantire la produttività.

 

Fico: nuove forme d'impianto per rese elevate

Per rilanciare in Italia la coltivazione del fico (Ficus carica) e per rispondere alle richieste del mercato, sia per il consumo fresco che per la trasformazione, è oggi necessario rivedere le forme di allevamento.

 

"Diventa urgente individuare nuovi sistemi di impianto che siano capaci di incrementare le rese produttive e contenere i costi di produzione" dice Rocco Mafrica, dell'Università degli Studi Mediterranei di Reggio Calabria, durante la presentazione dei risultati di una ricerca pluriennale condotta nell'areale Dop Fichi di Cosenza.

 

La sperimentazione, avviata nel 2019 sulla varietà Dottato, ha confrontato cinque forme di allevamento: vaso, ipsilon trasversale, ipsilon longitudinale, cordone unilaterale e cordone bilaterale. A ciascuna è stata abbinata una diversa densità di impianto.

 

Il vaso (5x5 metri pari a 400 piante a ettaro) e il cordone bilaterale a bassa densità (4x4 metri pari a 625 piante a ettaro) rappresentano le forme a bassa densità, con sviluppo della chioma in volume. Il vaso, in particolare, è la forma tradizionalmente più diffusa nella fichicoltura calabrese.
Le altre forme - ipsilon trasversale (4x2 metri pari a 1.250 piante a ettaro), ipsilon longitudinale (4x1,8 metri pari a 1.390 piante a ettaro), cordone unilaterale (4x2 metri pari a 1.250 piante a ettaro) e cordone bilaterale ad alta densità (4x1,8 metri pari a 1.390 piante a ettaro) - sono invece forme a parete e ad alta densità.

 

Queste ultime, meno comuni nella coltivazione del fico, hanno mostrato risultati agronomicamente promettenti. Si sono distinte infatti per l'elevata intercettazione luminosa, la maggiore efficienza produttiva e la possibilità di meccanizzazione.

 

"Rispetto al vaso, il cordone bilaterale ad alta densità ha quasi raddoppiato la produzione per ettaro, superando i 100 quintali" ha evidenziato Mafrica. Le forme ad alta densità, in particolare, hanno permesso di massimizzare lo sviluppo vegetativo e la produttività a scala aziendale, pur registrando in alcuni casi una minore fertilità per germoglio, compensata però da una maggiore lunghezza e vigoria degli stessi.

 

Interessante, secondo il professore, anche la differente dinamica di maturazione tra le forme: le strutture più espanse, come l'ipsilon longitudinale e il cordone bilaterale ad alta densità, hanno concentrato la produzione nella seconda parte della stagione, con il rischio di una maturazione incompleta per circa il 16% dei frutti.

 

Nonostante ciò, i risultati sono incoraggianti, in quanto l'introduzione di modelli alternativi al vaso e impianti ad alta densità nella coltivazione del fico potrebbero aprire prospettive interessanti sia in termini agronomici che economici.

 

Olivo e siccità, gli effetti della potatura estiva

Nell'olivo (Olea europaea) la cultivar Leccino sta riscuotendo un certo interesse fra gli agricoltori per la sua tolleranza alla Xylella fastidiosa. La preoccupazione che la batteriosi dalla Puglia si sposti in areali non infetti ha creato l'esigenza di studiare il comportamento della Leccino in altre zone produttive, fra cui la Sicilia.

 

In Sicilia l'olivicoltura è condotta prevalentemente in asciutto, con precipitazioni medie annue intorno ai 400 millimetri. In questo contesto di scarsità idrica, ottimizzare la gestione agronomica dell'olivo diventa cruciale.

 

Antonino Ioppolo, dell'Università degli Studi di Palermo, ha quindi presentato i risultati di uno studio che ha valutato la potatura estiva come tecnica agronomica per gestire lo stato idrico della cultivar in aridocoltura. "La potatura è una tecnica che asporta superficie fogliare ottenendo una riduzione della porzione traspirante della pianta".

 

Si sono confrontate tre epoche di potatura: la classica potatura invernale (febbraio), la potatura in piena estate (fine agosto) e quella a fine estate (settembre), più un gruppo di controllo non potato. La ricerca è stata condotta in un oliveto biologico di 15 anni, allevato a vaso globoso e con una densità di 400 alberi per ettaro, situato in provincia di Palermo.

 

La tecnica di potatura utilizzata era leggera: consisteva nell'asportazione manuale con forbici elettriche di succhioni e rami introduttivi, evitando il taglio di rami superiori a 2 centimetri di diametro. In media, per ciascuna pianta, sono stati rimossi circa 18 chilogrammi di biomassa nel biennio.

 

I risultati agronomici hanno mostrato che la potatura estiva di agosto ha garantito performance migliori in termini di potenziale idrico, conduttanza stomatica e attività fotosintetica, dimostrando che la rimozione della superficie fogliare in piena estate può favorire un migliore bilancio idrico. Si può quindi definire una pratica agronomica positiva per l'albero, soprattutto in ambienti caratterizzati da limitata disponibilità idrica.

 

Inoltre, viene confermata l'importanza dell'epoca di potatura: "Il periodo di potatura assume sempre più un'importanza agronomica e deve essere valutato in funzione delle condizioni ambientali presenti sul territorio" conclude Ioppolo.

 

Lo studio conferma l'importanza di valutare con attenzione quando potare, specialmente in oliveti condotti in aridocoltura, dove anche interventi agronomici leggeri possono migliorare la gestione della risorsa idrica e la resilienza dell'impianto. In futuro questa ricerca andrebbe approfondita, monitorando le piante per più anni consecutivi.

Leggi anche Olivo, se aridocoltura vuol dire resilienza

Vite: defogliazione apicale vs crisi climatica

Il cambiamento climatico comporta un'elevata radiazione solare incidente, una ridotta umidità relativa atmosferica e il protrarsi delle alte temperature. Sulla vite (Vitis vinifera) se queste condizioni persistono per lungo tempo causano danni fotossidativi, asincronia delle fasi fenologiche (elevata precocità) e una diminuzione marcata della qualità organolettica delle uve.

 

Negli ultimi anni è nata perciò l'esigenza di sviluppare diverse strategie di adattamento per posticipare il periodo di maturazione dell'uva, una delle fasi più delicate del ciclo colturale.

 

"Per i vigneti pre esistenti le tecniche agronomiche sono la principale via per cercare di ritardare la fase di maturazione. E fra queste ci siamo focalizzati sulla defogliazione apicale" spiega Vincenzo Tosi, dell'Università di Pisa.

 

La defogliazione apicale, come dice il nome stesso, consiste nella rimozione delle foglie apicali, sia del germoglio principale che dei germogli secondari, e può essere manuale o meccanica.

 

Nello studio la defogliazione è stata applicata su piante di Sangiovese innestate sul portainnesto 110 R, coltivate in vasi da 50 litri e in condizioni di piena produzione.
Il confronto è stato condotto su due epoche di intervento: una defogliazione "precoce", eseguita nella fase di stasi dell'accrescimento dell'acino, e una "defogliazione tardiva", effettuata al raggiungimento dei 16° Brix. Le due epoche di defogliazione sono state testate sia in regime irriguo ottimale, sia in deficit idrico moderato.

 

"Lo stress idrico applicato non era severo, ma sufficiente a simulare le condizioni ricorrenti nei nostri ambienti viticoli" precisa Tosi.

 

Dalle osservazioni condotte è emersa una riduzione dell'area fogliare complessiva a seguito della defogliazione, coerente con i livelli attesi intorno al 35-40%. Tuttavia, nelle piante defogliate precocemente e irrigate si è registrata una rimessa vegetativa con l'emissione di nuovi germogli laterali (femminelle), che hanno contribuito ad aumentare nuovamente la superficie fogliare.

 

Dal punto di vista fisiologico, la defogliazione ha generato un miglioramento temporaneo del potenziale idrico del fusto, in particolare nelle piante soggette a deficit idrico.
Interessante anche il comportamento della traspirazione, che è risultata più alta per tutta la stagione nella tesi con defogliazione precoce in piena irrigazione.

 

"Abbiamo ipotizzato che la nuova superficie traspirante, generata dai germogli secondari, abbia contribuito all'aumento della traspirazione" ha spiegato Tosi.

 

Per quanto riguarda gli scambi gassosi, si è osservato un effetto di compensazione: nonostante la riduzione della superficie fogliare, le piante defogliate hanno mostrato una maggiore apertura stomatica e una fotosintesi netta più alta, in particolare nella seconda data di rilevazione.

 

In sintesi, sebbene l'effetto principale sulla fisiologia della vite sia stato dettato dal regime irriguo, la defogliazione apicale ha prodotto effetti positivi transitori sullo stato idrico e ha indotto risposte compensative della pianta. Una tecnica che oggi può rivelarsi utile in ambienti sempre più condizionati dallo stress termico e idrico.

 

Olivo e stress idrico: studiate le radici nel suolo

Le condizioni causate dalla crisi climatica hanno effetti anche sull'olivo. In particolare, su questa arborea si notano una maggiore temperatura interna della chioma e una maggiore traspirazione stomatica che portano all'insorgere dello stress idrico.

 

Quindi, anche per l'olivicoltura professionale è importante adottare nuove strategie agronomiche, applicandole in questo caso non sulla chioma ma bensì sulle radici. L'apparato radicale infatti è essenziale per lo sviluppo dell'albero, e si può adattare agli stress a cui è sottoposto.

 

"L'attività agronomica ambisce sempre di più ad una maggiore produttività, adottando i sistemi ad alta densità. Ed è proprio per questi sistemi che diventa di fondamentale importanza la capacità di esplorazione dell'apparato radicale - spiega Lucrezia Trovato, dell'Università della Tuscia - Le radici però non sono visibili come la chioma e ci siamo chiesti come andarne a studiare la crescita e l'espansione nel suolo". Il team di ricerca ha quindi sviluppato un sistema non distruttivo, basato su innovativi rizotroni che monitorano l'accrescimento delle radici in diverse sezioni tramite l'acquisizione di immagini.

 

Questi rizotroni sono strutture fisse inserite nel suolo, costituite da un prisma trasparente che consente l'osservazione laterale e frontale dell'apparato radicale. Ogni dispositivo è dotato di tre telecamere posizionate a diverse profondità (20, 40 e 60 centimetri), e di un'illuminazione Led a 635 nanometri che garantisce una buona qualità dell'immagine. Le immagini, catturate ogni sei ore (ma con frequenza regolabile), vengono salvate localmente e trasferite via cloud grazie a una rete di gestione automatizzata. Il sistema è alimentato da una centralina con microcomputer Raspberry Pi, che ne regola accensione e funzionamento. Sono inoltre presenti sensori per la rilevazione di temperatura e umidità del suolo.

 

"Il primo passaggio consiste nell'individuare manualmente le sezioni di radici da esaminare, per misurarne lunghezza e diametro. Grazie all'elevata risoluzione delle immagini, è possibile ingrandirle senza perdita di qualità, ottenendo così una visione chiara dei dettagli anche in fase di zoom" continua Lucrezia Trovato.

 

Parallelamente all'analisi manuale, il team ha avviato anche lo sviluppo di un modello basato su machine learning per automatizzare il riconoscimento e la misurazione delle radici.

 

"Abbiamo suddiviso il processo in quattro fasi principali. La prima è il training test, in cui il sistema viene allenato con un set di immagini selezionate durante le osservazioni in campo: in totale circa 59 fotografie".

 

A questa fase iniziale seguono il validation set, che consente al modello di affinare i parametri di riconoscimento, e il tuning set, dedicato alla correzione degli errori e alla pulizia del dataset. Infine, il test set valuta l'accuratezza del sistema, con l'obiettivo di rendere il processo il più possibile affidabile e replicabile.

 

L'accuratezza del machine learning ha dato risultati incoraggianti, nonostante la presenza di alcuni errori nel modello. Infatti, per tutto il sistema si stima una precisione del 79,43% mentre solo per il machine learning la precisione si stima attorno all'88,9%.
Questa tecnologia perciò risulta performante nell'identificare solamente le radici e non altri elementi esterni.

 

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Autore: Chiara Gallo

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