Olivo, come gestire correttamente l'inerbimento

L'inerbimento controllato dell'oliveto è una pratica che si sta diffondendo in quanto è in grado di apportare molteplici benefici alla produttività dell'impianto. Ma per evitare gli effetti negativi della competizione malerba-olivo, occorre avere una gestione corretta

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L'inerbimento dell'olivo porta diversi benefici (Foto di archivio)

Fonte immagine: AgroNotizie®

Nelle regioni del Sud Italia di norma il terreno degli oliveti viene diserbato meccanicamente, con molteplici passate di erpici e frese che hanno come scopo quello di eliminare le erbe infestanti, ma anche di rompere la crosta del suolo e impedire la risalita capillare dell'umidità, preservando quindi la risorsa idrica.

 

Questo approccio, che per decenni è stato lo standard, sta però mostrando tutti i suoi limiti. I terreni lavorati ripetutamente, ma senza l'apporto di letame come un tempo, perdono sostanza organica, si impoveriscono e sono incapaci di assorbire e trattenere l'acqua piovana che, specie durante gli acquazzoni estivi, scivola via erodendo lo strato superficiale di terreno e, con esso, rimuovendo dal campo i concimi, che finiscono nei corsi d'acqua.

 

Inoltre, le lavorazioni del suolo, sebbene superficiali, distruggono la fitta rete di radici che le piante sviluppano fino in superficie, riducendo la porosità del terreno che garantisce l'infiltrazione dell'acqua anziché lo scorrimento. La situazione peggiora poi con le piogge che, in assenza di vegetazione protettiva, destrutturano il suolo in superficie, formando la crosta, peggiorando ulteriormente l'infiltrazione e l'assorbimento dell'acqua.

 

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Per tutti questi motivi, negli ultimi anni, sta lentamente tornando in auge l'inerbimento del terreno, sia spontaneo che controllato, in quanto, se gestito correttamente, offre indubbi vantaggi. "Un terreno inerbito si arricchisce di sostanza organica, che non solo permette di fornire nutrimento alle piante, ma consente anche una migliore ritenzione idrica, oltre a contrastare l'erosione dei suoli", ci racconta Adolfo Rosati, ricercatore presso il Crea, Centro di Ricerca Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura di Spoleto (Pg).

 

"Anche l'inerbimento però presenta degli aspetti negativi e dunque non basta lasciare il suolo a sé stesso per avere benefici, ma serve una gestione attiva della flora spontanea o seminata, in modo da massimizzare i vantaggi e limitare gli effetti negativi".

 

Inerbimento di trifoglio in oliveto superintensivo

Inerbimento di trifoglio in oliveto superintensivo

(Fonte foto: Adolfo Rosati, ricercatore presso il Crea, Centro di Ricerca Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura di Spoleto)

 

I vantaggi (e gli svantaggi) dell'inerbimento

L'inerbimento dell'oliveto risponde a una visione strategica di lungo periodo, poiché contribuisce a mantenere la fertilità del terreno (in particolare la sostanza organica) e a contrastare l'erosione, preservando il capitale suolo per le generazioni future. La copertura erbosa migliora la porosità del suolo, aumenta la capacità di infiltrazione dell'acqua piovana, riduce la formazione di croste superficiali. Questo sia direttamente, tramite la presenza di vegetazione e di radici che proteggono il terreno e lo rendono permeabile, sia indirettamente, grazie all'aumento di sostanza organica, che a sua volta migliora ulteriormente la struttura del suolo e la sua capacità di assorbire e trattenere acqua e nutrienti.

 

"Gli effetti benefici dell'inerbimento si vedono nel tempo", spiega Rosati. "Nel breve periodo può esserci una competizione idrica con l'olivo, ma sul lungo termine il miglioramento della struttura del suolo permette all'olivo di esplorare il terreno a maggiore profondità, quindi di accedere a una maggiore riserva d'acqua, aumentata ulteriormente dal maggiore contenuto di sostanza organica. Tutto questo riduce la sofferenza dell'olivo durante le siccità".

 

Inoltre, evitando di lavorare il terreno le radici dell'olivo si sviluppano anche in superficie, pronte ad assorbire acqua anche dopo una leggera pioggia estiva che bagni pochi centimetri di suolo, che sarebbe invece utile solo alle infestanti se le radici dell'olivo fossero state eliminate dallo strato più superficiale con le lavorazioni.

 

Tuttavia, esistono anche aspetti negativi. L'inerbimento spontaneo, se non gestito, può portare a una competizione per acqua e nutrienti nei mesi estivi, soprattutto in annate siccitose. Inoltre, alcune specie infestanti perenni, come gramigna e altre specie rizomatose, possono diffondersi e risultare difficili da controllare, aumentando la competizione e complicando la gestione.

 

Inerbimento spontaneo o seminato?

L'inerbimento spontaneo è la soluzione più semplice e meno costosa, in quanto non richiede semine. Tuttavia, tende a favorire specie molto competitive, magari con apparato radicale profondo, che possono incrementare la competizione idrica e nutrizionale, riducendo i benefici per l'oliveto.

 

L'inerbimento seminato, invece, permette di selezionare specie più adatte agli obiettivi aziendali: leguminose che fissano azoto, specie con apparato radicale superficiale che non competano con le radici profonde dell'olivo e che producano una ricca biomassa nei mesi autunno-invernali, andando in dormienza o seccandosi naturalmente in estate, riducendo quindi la competizione per l'acqua e i nutrienti nel periodo di vegetazione dell'olivo.

 

"L'inerbimento deve essere funzionale alle esigenze dell'olivicoltore", sottolinea Adolfo Rosati. "Specie a ciclo breve che sviluppano biomassa e si seccano in estate sono ideali per accumulare sostanza organica senza entrare in competizione con l'olivo nei mesi critici". Anzi, se abbondante la biomassa prodotta e lasciata in superficie durante l'estate come pacciamatura riduce l'evaporazione dell'acqua dal suolo in maniera più efficace delle lavorazioni, mantenendo più umidità nel suolo durante l'estate.

 

Le caratteristiche ideali delle specie da inerbimento

Ogni agricoltore deve scegliere la specie o il miscuglio da seminare secondo le caratteristiche dei propri suoli e l'indirizzo aziendale. Ad ogni modo è possibile identificare alcune caratteristiche generali che le piante seminate dovrebbero avere.

 

Ciclo invernale-primaverile. Le specie ideali germogliano in autunno e crescono durante l'inverno e la primavera, sfruttando la luce, l'acqua e i nutrienti disponibili quando l'olivo è in riposo vegetativo. È importante perché consente di produrre biomassa utile senza entrare in competizione, utilizzando le risorse idriche disponibili in un periodo in cui l'albero è a riposo, migliorando al contempo la fertilità del terreno.

 

Senescenza e dormienza estiva. Dopo la fioritura primaverile o la formazione del seme, le specie ideali vanno incontro a senescenza naturale o dormienza estiva, riducendo la vegetazione nei mesi più secchi. È importante perché limitano la competizione idrica con l'olivo nei periodi critici estivi, inoltre creano una pacciamatura naturale che riduce l'evaporazione dal suolo ed infine favoriscono il mantenimento dell'umidità residua nel profilo del terreno.

 

Produzione abbondante di biomassa. Le specie da inerbimento devono garantire una produzione elevata di biomassa durante il loro ciclo, che potrà essere trinciata o sfalciata e lasciata sul posto per arricchire il suolo. Questo è importante perché aumenta il contenuto di sostanza organica e quindi di humus nel terreno, previene la crosta e migliora la struttura e la porosità del suolo, favorendo l'infiltrazione dell'acqua piovana e riducendo l'erosione anche in caso di eventi piovosi intensi.

 

Apparato radicale superficiale. È fondamentale scegliere specie con un apparato radicale superficiale, che non scenda in profondità a competere con le radici dell'olivo per acqua e nutrienti. Questa caratteristica consente alle specie erbacee di seccarsi naturalmente in caso di siccità primaverile, lasciando la disponibilità idrica alle radici profonde dell'olivo e favorendo la stabilità e la porosità del suolo superficiale.

 

Inerbimento spontaneo in oliveto intensivo

Inerbimento spontaneo in oliveto intensivo

(Fonte foto: Adolfo Rosati, ricercatore presso il Crea, Centro di Ricerca Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura di Spoleto)

 

Capacità di fissazione dell'azoto. Prediligere le leguminose permette di beneficiare della loro capacità di fissare azoto atmosferico grazie alla simbiosi con batteri azotofissatori. Questa caratteristica è importante perché migliora la fertilità del suolo in modo naturale, riduce la necessità di concimazioni azotate e garantisce all'olivo una disponibilità di azoto durante la stagione vegetativa.

 

Capacità autoriseminante. Alcune specie hanno la capacità di autoriseminarsi dopo la produzione del seme, rinnovando il cotico per qualche anno, senza ulteriori interventi. Questa caratteristica è vantaggiosa perché consente di ridurre i costi aziendali di semina, garantendo un inerbimento costante nel tempo con minori spese operative e un ridotto impatto sul lavoro aziendale.

 

Costo contenuto del seme. Per una gestione economicamente sostenibile le specie da inerbimento devono avere un costo di semina contenuto e una facile reperibilità sul mercato. Questa caratteristica consente di gestire l'inerbimento in maniera sostenibile sul piano economico, senza incidere in modo significativo sui costi complessivi di gestione dell'oliveto, mantenendo alta la redditività dell'impianto.

 

Quali specie scegliere per l'oliveto

Rosati suggerisce un ampio ventaglio di specie, distinguendo tra annuali e perenni, leguminose e graminacee.

 

Annuali a ciclo invernale-primaverile:

  • Leguminose:
     • Veccia comune (Vicia sativa): produce molta biomassa, soffoca le infestanti, si secca in estate, ma in genere va trinciata in primavera per non competere con l'olivo.
     • Trifoglio alessandrino, incarnato, squarroso: ottime alternative alla veccia per biomassa e fissazione dell'azoto. Stessa gestione della veccia.
     • Pisello: radici superficiali, si secca da solo se c'è siccità primaverile.
    • Medicago polymorpha, Medicago scutellata: annuali che possono autoriseminarsi, più adatte del trifoglio sotterraneo in terreni alcalini e siccitosi.
  • Graminacee:
     • Avena: economica, abbondante, ideale in miscela con veccia.
     • Orzo, segale, grano: alternative economiche e valide per la produzione di biomassa, sempre preferibilmente in miscela con leguminose.

 

Specie autoriseminanti:

  • Trifoglio sotterraneo (Trifolium subterraneum): ideale in teoria per autoriseminazione e ciclo breve, con auto disseccamento in primavera-estate, ma ha esigenze pedoclimatiche specifiche (preferisce terreni acidi e subacidi e non si risemina facilmente in alcuni terreni e climi).
  • Alcune Medicago annuali possono riseminarsi in situazioni favorevoli (esempio le mediche sopra riportate).

 

Perenni per pascolamento o biomassa (mantengono la vegetazione d'estate e quindi sono più competitive verso l'olivo, ma forniscono biomassa anche d'estate):

  • Leguminose:
     • Lupinella (Onobrychis viciifolia): perenne, poco competitiva, non causa meteorismo nei ruminanti.
     • Ginestrino (Lotus corniculatus): perenne, non causa meteorismo, indicata per pascolo, ma di lento attecchimento.
     • Trifoglio rosso: perenne, quindi più competitivo in estate, ma utile a fornire foraggio estivo in caso di pascolamento (in miscela con graminacee, per evitare meteorismo).
  • Graminacee (da usare preferibilmente in miscela con leguminose):
     • Erba mazzolina (Dactylis glomerata): adattabile a impianti olivicoli.
     • Alcune Festuca e Bromus possono essere provate, ma mancano dati consolidati.

 

"Attenzione a evitare l'erba medica comune (Medicago sativa) - precisa Adolfo Rosati - perché è estremamente competitiva con l'olivo per l'acqua, grazie al suo apparato radicale profondo".

 

Inerbimento e pascolo in oliveto: un'opportunità da valorizzare

L'inerbimento degli oliveti può trasformarsi da semplice copertura verde a risorsa produttiva grazie al pascolo controllato degli animali, integrando foraggio e zootecnia in chiave agroecologica. Secondo Rosati, l'integrazione degli animali negli oliveti (pratica silvopascolare) consente di aumentare la produttività complessiva dei terreni, ridurre l'uso di input esterni e migliorare la resilienza aziendale, trasformando lo sfalcio in una risorsa alimentare per gli animali e riducendo le emissioni legate alle lavorazioni meccaniche e alle concimazioni con prodotti di sintesi. Diverse specie si prestano al pascolo in oliveto: ovini, pollame (come galline e oche) e, in alcuni casi, suini e persino bovini ed equini, purché gestiti con attenzione per evitare danni alle piante.

 

Suino che consuma olive cadute prima della raccolta.jpg

Suino che consuma olive cadute prima della raccolta

(Fonte foto: Fonte foto: Adolfo Rosati, ricercatore presso il Crea, Centro di Ricerca Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura di Spoleto)

 

Gli animali, pascolando il cotico erboso, contribuiscono al controllo delle infestanti e alla fertilizzazione naturale del suolo tramite le deiezioni, che arricchiscono il suolo di sostanza organica e quindi ne migliorano la struttura. Il pascolo, se ben gestito, offre inoltre servizi ecosistemici come il contenimento di alcuni fitofagi, per esempio grazie al consumo dei frutti caduti che possono ospitare larve di mosca dell'olivo. Gli oliveti forniscono ombreggiamento e microclimi più favorevoli agli animali, riducendo lo stress termico nei mesi estivi e migliorando il benessere animale, con effetti positivi sulla quantità e sulla qualità dei prodotti zootecnici.

 

Tuttavia, questa integrazione richiede una gestione attenta per evitare criticità. Gli animali devono essere introdotti seguendo rotazioni di pascolamento mirate, evitando sovraccarichi che possano causare compattamento del suolo o danneggiare la vegetazione e le radici degli olivi. In particolare, nelle giovani piantagioni o negli impianti intensivi occorre predisporre protezioni o delimitare le aree di pascolo oppure utilizzare specie di piccola taglia (pollame), poiché il rischio di danneggiamenti alla corteccia e alle branche basse è elevato, soprattutto con ovini e caprini. Inoltre, l'integrazione richiede attenzione alle normative sanitarie e alla gestione dei periodi di sospensione del pascolo prima della raccolta, per prevenire rischi di contaminazione dei frutti.

 

"Nonostante queste difficoltà, l'inerbimento per il pascolo negli oliveti rappresenta una via promettente per migliorare la sostenibilità economica e ambientale dell'olivicoltura, trasformando una pratica di gestione del suolo in una leva produttiva integrata che coniuga conservazione del suolo, riduzione dei costi e diversificazione delle fonti di reddito aziendale", specifica Adolfo Rosati.

 

"Inerbire non significa abbandonare il campo a sé stesso, ma costruire un equilibrio che faccia bene all'olivo e all'ambiente e che, nel caso del pascolamento, rappresenti anche una ulteriore fonte di reddito".

Autore: Tommaso Cinquemani

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