Agricoltura rigenerativa: storie di aziende in transizione (prima parte)

Dalle esperienze pionieristiche di due aziende del Cilento a una realtà vitivinicola ai primi passi nell'agroforestazione. Un press tour alla scoperta dell'agricoltura rigenerativa e della rete di formazione e consulenza sviluppata in Italia da Eit Food

Agricoltura rigenerativa: storie di aziende in transizione (prima parte) - Plantgest news sulle varietà di piante

All'azienda agricola La Petrosa fanno pascolo razionale e il letame degli animali viene convertito in compost per rigenerare il suolo

Fonte immagine: Agronotizie

C'è chi ne sente parlare solo da poco e vuole saperne di più, e c'è chi, invece, conosce le pratiche dell'agricoltura rigenerativa già da tempo, perché molte affondano le loro radici nella tradizione.


Ma cosa significa oggi intraprendere la strada dell'agricoltura rigenerativa?


Per capire come queste conoscenze si stiano trasformando in modelli innovativi, AgroNotizie® ha partecipato al press tour organizzato da Eit Food, la Comunità Europea dell'Innovazione Agroalimentare creata dall'Istituto Europeo di Innovazione e Tecnologia, con il coordinamento delle agenzie 21 Gramos e Hassel Omnichannel, interamente dedicato all'agricoltura rigenerativa.

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Il viaggio ha previsto prima la visita di due aziende del Cilento, in Campania, che hanno già compiuto la transizione e sono diventate delle vere e proprie realtà pioniere dell'agricoltura rigenerativa: la Cooperativa Agricola Nuova Cilento e l'azienda agricola La Petrosa. Successivamente il tour si è spostato in un'azienda vitivinicola dell'Alta Murgia, in Puglia, che ha appena avviato i primi passi nell'agroforestazione e nella rigenerazione: l'azienda Morasinsi.


Tre esempi diversi, ma accomunati dalla volontà di rigenerare i suoli, custodire la biodiversità e rendere l'agricoltura più resiliente.


Il Cilento e le aziende faro dell'agricoltura rigenerativa

La Cooperativa Agricola Nuovo Cilento comprende 400 olivicoltori per un totale di 2500 ettari destinati alla produzione di olio. Già nel 2015, il fondatore Giuseppe Cilento aveva ospitato Jairo Restrepo Rivera, padre dell'agricoltura rigenerativa, iniziando così a diffondere tra gli agricoltori locali pratiche che unissero innovazione e tradizione. L'obiettivo era quello di creare rete e stimolare nuove consapevolezze tra agricoltori, tecnici e comunità locali.


Nella pratica, il loro approccio all'agricoltura rigenerativa si divide in 4 punti: non arare i terreni ma limitarsi a 2 sfalci d'erba verde (a febbraio e maggio), potatura a vaso policonico degli olivi per garantire il giusto equilibrio tra ombra e luminosità, progettazione di sistemazioni idrauliche keyline per favorire l'infiltrazione dell'acqua ed evitare l'erosione, e infine l'utilizzo di cultivar autoctone insieme all'aumento della biodiversità per contenere naturalmente la presenza di insetti dannosi.

 

L'innovazione riguarda anche la fase di lavorazione delle olive. Per favorire la produzione di oli di qualità, ricchi di antiossidanti, la Cooperativa scoraggia la raccolta tardiva delle olive e incentiva anche economicamente gli olivicoltori. Alle olive raccolte entro il 30 novembre, infatti, viene riconosciuto un prezzo maggiore.

 

Le olive, che vengono trasportate solo attraverso bins per evitare che si riscaldino troppo, vengono lavorate entro le 12 ore. Nel frantoio della Cooperativa si lavora con un frangitore raffreddato di ultima generazione e un protoreattore. Il primo aumenta la qualità dell'olio mantenendo una temperatura bassa durante la frangitura, preservando gli aromi e le proprietà organolettiche; il secondo riduce i tempi di lavorazione, i costi energetici e migliora l'estrazione dei polifenoli.

 

Filosofia della Cooperativa Agricola Nuova Cilento

La filosofia della Cooperativa Agricola Nuova Cilento

(Fonte: AgroNotizie®)


All'incontro organizzato da Giuseppe, nel 2015, sull'agricoltura rigenerativa, partecipò anche Edmondo Soffritti, che insieme alla sua famiglia gestisce l'azienda agricola La Petrosa.


"10 anni fa abbiamo fatto la transizione dall'agricoltura convenzionale a quella rigenerativa - ha spiegato Edmondo - mi ero accorto che anno dopo anno i costi aumentavano e la produzione calava".


Dalla coltivazione di solo 2 colture, mais e triticale, è nato un sistema policolturale dove sono stati integrati anche gli animali. L'azienda è composta da 60 ettari: ci sono 1700 piante di olivo; 20 ettari sono destinati alla produzione di cereali per l'alimentazione umana (grano, farro, orzo e avena) che vengono trasformati in pasta, pane e biscotti, e per l'alimentazione animale; 1 ettaro è destinato alla produzione di ortaggi e 1 altro ettaro a quella di frutta. Da 5 anni in azienda si autoproducono anche i semi.


A La Petrosa gestiscono un allevamento al pascolo di tipo razionale, in cui gli animali ruotano di parcella in parcella lasciando così all'erba il tempo di rigenerarsi. Ci sono 70 capre e 5 bovini per cui coltivano medicai e cereali autunno vernini in rotazione con leguminose per l'alimentazione umana (come ceci e fagioli) e per l'alimentazione animale (come pisello proteico e favino).

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Si tratta di un'azienda agricola che riesce ad occuparsi autonomamente del 100% della propria filiera: il fresco viene trasformato nel loro ristorante, venduto attraverso la loro bottega e presso un mercato locale; le eccedenze vengono trasformate in conserve.


Anche in questa realtà la rigenerazione è partita dalla terra. Durante la visita a La Petrosa, infatti, abbiamo assistito ad una dimostrazione pratica sulla qualità del suolo. Sono stati utilizzati 2 campioni di terreno, il primo proveniente da un'azienda vicina certificata biologica da 12 anni e il secondo de La Petrosa; entrambi sono stati completamente immersi in acqua. Dopo pochi minuti dall'immersione, il primo campione iniziava a sciogliersi lentamente intorbidendo l'acqua, sabbia e limo precipitavano e le argille si dissolvevano; il secondo campione, proveniente da agricoltura rigenerativa, è rimasto integro e l'acqua trasparente. Col passare del tempo la differenza si è accentuata: il primo campione si è via via disgregato completamente, il secondo invece è rimasto intatto. Il test dimostra che un suolo lavorato spesso con aratura e fresatura ha una porosità effimera, al contrario un suolo rigenerato è formato da aggregati di materia organica più stabili, in grado di trattenere meglio l'acqua, e quindi più resiliente di fronte a eventi climatici estremi.

 

Campioni di terreno immersi in acqua

I due campioni di terreno testati: quello a sinistra proviene da un'azienda agricola biologica e si è disgregato immediatamente durante l'immersione in acqua; il secondo proviene dall'azienda rigenerativa La Petrosa ed è rimasto intatto

(Fonte: AgroNotizie®)

 

 

A La Petrosa, infatti, adottano pratiche di conservazione del suolo come minima lavorazione e semina su sodo per non disturbare gli aggregati e migliorare la salute del suolo.


È vero, la conversione non è stata facile. La transizione ad Edmondo è costata molto in termini di tempo e soldi: per i primi 3-4 anni c'è stata una forte diminuzione dei raccolti. Adesso però i risultati si vedono.

 

Uno di questi è la riduzione degli input esterni: "L'agricoltura rigenerativa aiuta il suolo a recuperare la vitalità persa. Noi, per esempio, dopo 5 anni abbiamo eliminato la concia dei semi dei cereali; non usiamo più fertilizzanti chimici e, proprio perché il terreno si rigenera e ha meno bisogno di interventi, abbiamo diminuito il consumo annuale di carburante da 15mila a 6mila litri", ha affermato Edmondo Soffritti.

 

Al posto dei classici input esterni utilizzano cover crop, rotazioni, compost fatto con il loro letame e biofertilizzanti prodotti con gli scarti aziendali.

 

Il vantaggio successivo del ridurre l'utilizzo di input esterni è, di conseguenza, la creazione di un ambiente equilibrato è l'aumento della qualità di ciò che producono. Per questo, anche se la produzione può risultare spesso inferiore al convenzionale, si guadagna in qualità.

 

Morasinsi e la transizione in corso

Se nel Cilento le aziende visitate hanno già completato la transizione, in Puglia, a Minervino Murge in provincia di Barletta Andria Trani, l'azienda vitivinicola Morasinsi è nel pieno del percorso verso l'agricoltura rigenerativa. Fondata nel 2018 da Sveva Sernia, l'azienda è composta da vigneti che sono stati coltivati per 20 anni in modo convenzionale, oggi sta sperimentando nuove pratiche.

 

L'obiettivo di Sveva è primo tra tutti quello di valorizzare le varietà locali - dal Pampanuto al Nero di Troia, fino al Moscato Reale. In un contesto, quello della Puglia, fragile, esposto al rischio di desertificazione e agli effetti del cambiamento climatico.

 

Da un anno e mezzo l'azienda ha avviato un progetto agroforestale insieme ad Eit Food e a Matteo Mazzola, perito agrario e consulente tecnico di agricoltura rigenerativa e sistemi agroecologici integrati. Tra i filari di vite sono state inserite piante tappezzanti, arbustive, aromatiche, azotofissatrici e alberi emergenti (come falso pepe ed eucalipto).

 

Agroforestazione in vigneto

Falso pepe e altre piante integrate nel vigneto

(Fonte: AgroNotizie®)

 

In 15 filari sono state piantate 20mila piante - 7 ogni 1,70 metri, che è la distanza tra un ceppo e l'altro - con consorzi diversi a seconda delle varietà e del tipo di terreno. La gestione prevede potature mirate e inerbimento costante, trinciato da 1 a 3 volte l'anno: un "disordine ecologico" che diventa strumento di equilibrio.


Al momento il progetto è in fase di adattamento e osservazione da parte di Sveva e del suo consulente, per capire quali consorzi di piante funzionano meglio.


La domanda sorge spontanea tra i giornalisti del press tour: in questo modo la vite non è più esposta alle malattie e non è svantaggiata dalla competizione? In realtà, spiegano, la policoltura rafforza il suolo e rende la pianta più resiliente. "La vite - ha ricordato Mazzola - è una liana: non ha forza radicale e cerca suoli già esplorati. Le altre piante diventano i suoi tutori sotterranei, creano sinergie invece che conflitti e contribuiscono alla salute complessiva dell'ecosistema. Oltre agli orizzonti sotterranei, miglioriamo anche quelli superficiali, spesso esposti alle alte temperature. Stiamo testando diverse colture emergenti affinché la vite possa crescere sotto una protezione che le garantisca il giusto livello di luce, mentre le radici esplorano più in profondità, contribuendo alla creazione di un ecosistema produttivo".


Per fare un esempio, nell'impianto agroforestale hanno piantato la coronilla, una leguminosa che apporta diversi benefici: "Ci permette di abbassare la temperatura, le radici vanno in profondità e prendono i nutrienti che la vite non riesce ad assorbire. Inoltre, le leguminose sono delle grandissime solubilizzatrici di fosforo. Un elemento importantissimo in contesti calcarei come questo, dove è poco assimilabile. Così la coronilla va in profondità, spacca il suolo e lo rigenera per la vite, e solubilizza anche il fosforo", ha spiegato Mazzola.

 
Oggi l'azienda produce circa 30mila bottiglie l'anno. Si tratta di vini naturali fatti raffinare in anfore in ceramica senza interventi enologici.

 

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Il ruolo di Eit Food

Le 3 aziende visitate durante il press tour hanno collaborato in questi ultimi anni con Eit Food, organismo che nasce proprio con l'obiettivo di sostenere una transizione agricola che sia produttiva, resiliente e sostenibile.

 

Dal 2018 a oggi, in Italia 61 partner tra enti e aziende hanno preso parte a 109 progetti di innovazione agroalimentare, per un totale di 94,9 milioni di euro di finanziamenti, di cui più di 20 milioni destinati a iniziative locali con un impatto diretto sulle aziende agricole.

 

Nello stesso periodo, Eit Food ha sostenuto 70 startup italiane e coinvolto 442 agricoltori in programmi di formazione e consulenza, per un totale di 15.548 ettari.


Dal 2020 è attivo un programma specifico sull'agricoltura rigenerativa, oggi presente in 9 Paesi e sviluppato insieme a più di 150 agricoltori. In Italia sono stati organizzati 14 corsi con oltre 500 partecipanti, tra agricoltori e consulenti. La formazione si basa su un approccio pratico e farmer centred: generalmente si tratta di 2 giornate in cui teoria e lavoro in campo si alternano, seguite da consulenze tecniche pluriennali e dalla creazione di gruppi di lavoro permanenti di agricoltori.


L'obiettivo è accompagnare le aziende agricole nella transizione, non solo agronomica ma anche culturale ed economica.


Un altro tassello è il progetto Test Farms, che favorisce l'incontro tra startup e aziende agricole per testare soluzioni innovative direttamente in campo. Dal 2016 a oggi sono state supportate 137 startup in 8 Paesi europei, 90 aziende agricole coinvolte e più di 100 soluzioni testate, di cui 25 già lanciate sul mercato, per un totale di oltre 40 milioni di investimenti raccolti. Un modello di open innovation che unisce agricoltori, consulenti e imprenditori, creando apprendimento collettivo e nuove opportunità di business.


In Italia hanno partecipato realtà come Agrobit, che ha sperimentato strumenti digitali per ottimizzare l'utilizzo degli input in agricoltura; LandPrint, piattaforma nature tech che uniforma e valorizza i dati ambientali per trasformarli in metriche finanziarie utili anche agli investitori; Evja, startup napoletana che ha brevettato un Dss per monitorare irrigazione, difesa e resa delle colture e Veetaste, vertical farm indoor che produce microgreens in ambienti controllati.

 

 

I micrortaggi di Veetaste

Tra le startupo che collaborano con Eit Food c'è Veetaste che si occupa di micrortaggi

(Fonte: Hassel Omnichannel)


"Il nostro interesse per l'agricoltura rigenerativa - spiega Amparo San José, head of Network and Business Development di Eit Food - si basa interamente sui dati positivi che stiamo raccogliendo dagli agricoltori che hanno partecipato o stanno partecipando al programma. Circa il 60% di loro ha migliorato i livelli di materia organica nel suolo; il 68% ha migliorato i livelli di carbonio nel suolo; inoltre, il 38% ha abbandonato la lavorazione profonda del terreno o ha ridotto il numero di passaggi di oltre il 50%; il 17% ha abbandonato l'uso di fertilizzanti azotati minerali e il 12% ha abbandonato l'uso di prodotti fitosanitari chimici. I numeri parlano da soli".

 

AgroNotizie® è un marchio registrato da Image Line® Srl Unipersonale

Autore: Vittoriana Lasorella

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